AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Tonia Mastrobuoni per “la Stampa”
Nella lista dei pro e dei contro che Mario Draghi starà scandagliando ogni giorno per decidere se partire già tra due settimane con il quantitative easing o aspettare la riunione di marzo, è entrata ieri una novità enorme. Ed è un punto a favore di un’anticipazione.
L’inflazione nell’eurozona è caduta per la prima volta dall’ottobre del 2009 sotto lo zero, si è attestata a -0,2 per cento. Una notizia che ha continuato a schiacciare l’euro su un nuovo minimo, stavolta da quasi un decennio, a quota 1,1803 contro il dollaro. E alcuni analisti che avevano scommesso su un avvio degli acquisti di titoli pubblici e privati a marzo, hanno cambiato idea.
Dirk Schumacher, economista di Goldman Sachs, sostiene che «il dato potrebbe aver aumentato il senso di urgenza del consiglio direttivo della Bce per una reazione». Anche gli analisti di Ubs hanno modificato le previsioni, contando su un’accelerazione, mentre Carsten Brzeski, di Ing-DiBa, sostiene che «è impossibile per la Bce non agire, questo mese». Le Borse ieri hanno scommesso su un’accelerazione del lancio del quantitative easing.
MERKEL MURALES DI FRONTE ALLA BCE FRANCOFORTE
Un altro argomento forte a favore di un’anticipazione a gennaio degli acquisti “all’americana” è il fatto che Mario Draghi, che ieri ha presieduto una riunione del consiglio direttivo dove si è discusso di Grecia e degli ultimi, preoccupanti dati macroeconomici, ha dichiarato a più riprese la volontà di voler ampliare il bilancio della Bce a circa 3.000 miliardi di euro, ai livelli raggiunti durante la fase più acuta della crisi dell’euro, all’inizio del 2012. L’ultimo dato disponibile, dopo le operazioni straordinarie degli ultimi sei mesi, è di un bilancio espanso attraverso il tltro e gli acquisti di covered bond e titoli Abs a 2.200 miliardi di euro; mancano dunque circa 800 miliardi per arrivare al target.
Un terzo argomento che gioca a favore di un Qe già a gennaio, è la Grecia, anche se è un tema a doppio taglio. Se d’un lato Draghi potrebbe voler accelerare anche per mettere a riparo il resto dell’eurozona dagli effetti di nuove turbolenze che l’esito delle elezioni greche del 25 gennaio potrebbero scatenare sui mercati – ieri una nuova indiscrezione di Bild sostiene che il governo tedesco stia calcolando i costi di un’uscita della Grecia dall’euro e teme in particolare un collasso del sistema bancario – dall’altro pesano le resistenze tedesche.
Una parte del mondo politico si è già espressa contro un acquisto massiccio dei titoli pubblici, anche perché ritiene che scoraggi il percorso di risanamento e di riforme intrapreso da alcuni dei Paesi che beneficerebbero di più del paracadute di Francoforte. E la prima della lista sarebbe la Grecia, dove il probabile vincitore delle elezioni, Alexis Tsipras, sostiene di voler stracciare gli accordi con la trojka e punta tout court a una rinegoziazione del debito.
E l’oppositore più tenace delle operazioni straordinarie della Bce è il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Draghi ha già fatto capire che approverà il Qe anche con il suo voto contrario, come avvenne a settembre del 2012, quando il consiglio direttivo votò lo scudo anti spread Omt. Peraltro, nel dato diffuso ieri si nasconde un argomento che i tedeschi potrebbero continuare a usare per abbassare il livello di allarme e resistere al Qe. L’inflazione depurata dal crollo dei prezzi energetici (è stato del 6,3% a dicembre) e alimentari, la cosiddetta “core”, è stata dello 0,8%, dunque positiva. Inoltre, i dati sulla disoccupazione di ieri dimostrano che la forbice tra la Germania – che ha raggiunto un nuovo minimo a 6,5% – e il resto dell’eurozona aumenta, e con esso il divario tra la cautela dei tedeschi sulle politiche monetarie e il senso di urgenza in aumento degli altri. In testa l’Italia, con il suo tasso di disoccupazione che ieri ha raggiunto un nuovo record a 13,4%.
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