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Carlo Bonini per "La Repubblica"
Sabato, nella piazza di Brescia, non ballava soltanto il fantasma giudiziario di Silvio Berlusconi. Accanto al leader, era Denis Verdini, suo plenipotenziario e facilitatore nella nascita del governo di "pacificazione nazionale". Ma, soprattutto, prossima cartina di tornasole delle incomponibili contraddizioni della "strana maggioranza" per una vicenda rapidamente macinata dalla memoria del Paese. L'affare P3.
Elvira Tamburelli, giudice dell'udienza preliminare di Roma, dove quel processo è impantanato dal marzo 2012 in una sequela di eccezioni di legittimità e tempi necessari alla trascrizione di migliaia di conversazioni telefoniche intercettate, ha infatti notificato al Parlamento la richiesta da cui dipende, di fatto, la possibilità di processare o meno Verdini, che di questa storia è l'indagato chiave.
Vuole sapere la Tamburelli se le telefonate intercettate dai carabinieri tra il 2010 e il 2011 sulle utenze di spicciafaccende in odore di "loggia" e che nessuno poteva immaginare frequentate dal coordinatore Pdl, possano essere o meno "autorizzate" a posteriori e dunque utilizzate come prova d'accusa nei suoi confronti.
La si ricorderà la P3. Storia di appena due anni fa. Quando, per dirla con le parole dell'allora procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara, dell'aggiunto Giancarlo Capaldo e del pm Rodolfo Sabelli (oggi presidente dell'Anm) nel loro atto di chiusura indagini nei confronti di 20 indagati (agosto 2011), si contesta a Denis Verdini e Marcello Dell'Utri di aver «costituito, organizzato, diretto e partecipato a un'associazione
per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso di ufficio, illecito finanziamento, diffamazione, violenza privata e caratterizzata dalla
segretezza degli scopi».
Di più: di aver messo insieme una variopinta consorteria di traffichini (in cui spiccano i nomi di Flavio Carboni e Pasquale Lombardi, classi 1932 e 1933) che «opera come associazione segreta». E che, in meno di un anno, in nome e per conto di un fantomatico "Cesare", di cui gli indagati si rifiuteranno di svelare l'identità , che l'indagine non identificherà mai e che una nota a piè pagina di un'informativa dei carabinieri indica come Silvio Berlusconi, infila un reato via l'altro.
Nell'ordine: «Interveniva sui rappresentanti e i dirigenti di enti locali (la Regione Sardegna) per ottenere la nomina in cariche amministrative apicali»; «interveniva ripetutamente sul vicepresidente e sui componenti del Csm per indirizzare la scelta di candidati a incarichi direttivi»; «si adoperava per influenzare la decisione della Corte costituzionale nel giudizio sul lodo Alfano»; «interveniva sui magistrati della Cassazione allo scopo di favorire una conclusione favorevole nel giudizio tributario Mondadori e nel ricorso contro la misura cautelare disposta nei confronti dell'onorevole Cosentino»;
«avvicinava autorità giudiziarie e amministrative allo scopo di favorire l'accoglimento da parte della Corte di appello di Milano del ricorso della Lista Formigoni contro il provvedimento di esclusione dalle elezioni regionali 2010»; «avvicinava magistrati delle Procure di Napoli e Milano per procurarsi informazioni sullo stato dei procedimenti penali»; «si adoperava per influire sulla scelta dei candidati a Presidente della Regione Campania»; «sollecitava e si procurava finanziamenti, quantificati in 6 milioni di euro, in cambio della concessione di cariche di partito e di interventi nel settore dell'energia rinnovabile».
Due anni sono un tempo "brevissimo" per la giustizia penale. Ma un'era geologica per la Politica, che ha appunto restituito a nuova vita Verdini, ma, soprattutto, trasformato alcuni suoi avversari di ieri in compagni di strada. Come, per dire, il ministro Gianpiero D'Alia che, nei giorni della P3, pure chiedeva l'intervento dell'Antimafia.
Del resto, è accaduto anche che le intercettazioni di quella inchiesta non siano state ritenute di alcun intralcio alla nomina di Cosimo Ferri a sottosegretario alla Giustizia. Proprio il magistrato di cui uno dei componenti della "loggia", Pasquale Lombardi, parlava al telefono come di «un amico al Csm». E che a presiedere la Giunta per le autorizzazioni
a procedere sia oggi Ignazio La Russa, fino a ieri sodale di partito di Denis Verdini.
Vedremo cosa deciderà il Parlamento e se sui destini di Verdini (per il quale la procura di Firenze, il 14 marzo, ha chiesto il giudizio per bancarotta e truffa nel crac del Credito cooperativo fiorentino e a cui sono stati sequestrati l'11 aprile scorso dodici milioni di euro per truffa ai danni dello Stato nell'erogazione dei fondi per l'editoria) peserà un precedente. Speculare a quello P3.
L'ultima Giunta per le autorizzazioni diede infatti il proprio via libera all'utilizzo di trentaquattro intercettazioni di Verdini raccolte dalla procura di Firenze "indirettamente" (su utenze non intestate al parlamentare, cioè). Ma, appunto, era il 12 giugno 2012. La "strana maggioranza" non si era ancora fatta "politica".
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