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Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago,
ai tempi in cui nacque il “Manifesto“ quotidiano - e c’ero anch’io nel team - volevo molto bene a Valentino Parlato, e del resto mai più ho smesso di volergliene.
Era quanto di più semplice e assieme caloroso, era “un amico” prima che “un compagno”, e contava più il modo affettuoso in cui ti guardava che quello che ti stava dicendo. Del resto li stimavo tutti quei comunisti eretici scaraventati via dal Pci, erano tutti dei fuoriclasse - uomini e donne. Le loro idee non erano le mie. Loro volevano fare un giornale che fungesse da molecola fondante di un partito a sinistra del Pd. A me sembrava valesse la pena fare un giornale che fungesse da crocevia delle tante voci della sinistra. Me ne andai dopo tre mesi.
Senza che questo alterasse di un’acca il mio particolare affetto per Valentino e, forse, anche il suo per me. E siccome i collaboratori più giovani del quotidiano, a questo punto da lui diretto, mi reputavano un po’ una carogna e un “traditore”, qualcuno di loro scrisse non ricordo che di particolarmente insultante nei miei confronti. Mandai a Valentino due righe in cui gli dicevo che mai e poi mai su un giornale da me diretto qualcuno avrebbe potuto scrivere qualcosa di simile contro di lui. Quella volta non mi rispose.
GIAMPIERO MUGHINI E I SUOI LIBRI
Ci incontravamo di rado. Ricordo perfettamente il suo sguardo quando ci stringemmo la mano (o forse ci abbracciammo) il pomeriggio in cui a Piazza Farnese stavamo commemorando Luigi Pintor, che era appena morto. (Anche lui un gigante, il “Servabo” è il più bel libro mai scritto sull’essere un italocomunista.) L’ultima volta l’ho visto sul metro di superficie che ha nome 8, e credo fosse appena uscito dalla redazione del “Manifesto” che non è lontana da casa mia: ancora una volta ci salutammo con affetto, con un calore pudico, con un sorriso intinto nell’amarezza che ti viene dal sapere che la vita passa e separa.
Ricordo pure la sera romana in cui Elena Stancanelli stava presentando un suo libro e c’era Valentino, e ci sorridemmo. C’era anche una giornalista del “Manifesto” che ben conoscevo ai tempi della redazione originaria del quotidiano. Mi guardava con qualcosa che somigliava vagamente all’odio. Le chiesi perché mi stesse guardando con tale insistenza. “Perché voglio vedere che cosa e come sei diventato” mi rispose. Valentino mi era accanto. Sentì quelle parole. Non aggiunse nulla.
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