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Luigi Offeddu per il "Corriere della Sera"
«Ma Obama sapeva?». Sono più o meno le 23 di giovedì, a Bruxelles, e la domanda aleggia sul tavolo intorno a cui sono riunite una trentina di persone, fra cui 28 capi di Stato e di governo europei. Se lo chiedono l'un l'altro, ripetutamente, fra qualche battuta imbarazzata sulla presenza di microspie «yankee» sotto le loro sedie, tutti i presenti o quasi.
Se il giornale Guardian ha colto nel segno («35 i leader sotto controllo»), sono stati in epoche diverse spiati dalla Nsa, la più occhiuta delle strutture americane di spionaggio. E stasera, qui, devono decidere come reagire. Mai, dal dopoguerra, l'Europa si è trovata davanti a una scelta simile, e proprio davanti all'alleato di sempre. L'aria vibra di tensione: «Ma Obama sapeva?». E a un certo punto, la tensione si sprigiona nelle parole furibonde di Angela Merkel: «No, sentite, questa storia non riguarda solo il mio cellulare personale, ma quelli di milioni di cittadini europei!».
Le cene di questi vertici hanno sempre avuto una regola: il riserbo più assoluto. Nella sala i 28 leader, più il presidente del consiglio dei ministri Ue Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, in alcuni momenti il presidente dell'Europarlamento Martin Schulz e il direttore della Banca centrale europea Mario Draghi. Niente ambasciatori o portavoce, divieto di gossip. Ma alla fine, qualcosa trapela sempre. E talvolta, è qualcuno degli stessi partecipanti che qualcosa si lascia sfuggire.
Lo sfogo della cancelliera tedesca ha un senso preciso: stasera qualcuno fra i presenti ha bisogno di convincere gli altri, perché sul Datagate - come su altri temi - la Ue riesce a trovare solo un'unità di facciata. Quasi settant'anni di atlantismo non si infrangono a colpi di microspie.
E c'è un convitato di pietra, nella sala: David Cameron, premier britannico, vistosamente isolato nel definire un danno le rivelazioni dell'ex agente Edward Snowden: «No, sono invece utili, finalmente utili», gli ribatte a muso duro François Hollande, l'uomo dell'Eliseo. Per la prima volta, nella prima giornata di un vertice Ue, Cameron non ha tenuto conferenze stampa, ufficialmente non ha aperto bocca: come imbavagliato dall'imbarazzo, maligna qualcuno.
E a metà della cena, sul tavolo compare una mina: anche i servizi inglesi britannici avrebbero spiato gli alleati europei. Italia compresa. Enrico Letta chiede spiegazioni al collega britannico: e secondo questa ricostruzione, confermata in seguito anche da fonti tedesche, fra i due c'è uno scambio di idee vivace, per non dire tempestoso.
Più tardi, le fonti italiane smentiranno. E lo stesso Letta si dichiarerà «sorpreso: non ci sono state discussioni così..». Resta il fatto che, a domanda precisa - «c'è stato o no l'urto?» - proprio uno degli altri partecipanti al vertice glissa sorridendo: «Non ricordo...»: e forse questa amnesia è un'indiretta conferma.
Già all'inizio della cena, anche François Hollande ha molte cose da chiedere a Cameron. E ad Obama, indirettamente. Inizia con diplomazia: «Non sono qui per demonizzare i servizi segreti. Non dobbiamo essere ingenui, sono importanti per la cooperazione internazionale. E altri servizi in Europa fanno quello che fanno gli americani. Nella Ue non siamo tutti angeli...».
Poi, lo scoppio: «Ma qui ci sono milioni di intercettazioni. Che io sappia, nessuno ha mai fatto una cosa simile, mai». Angela Merkel affianca subito Holland, e a lei si uniscono anche Letta, e anche il premier belga Elio Di Rupo, più altri ancora.
Si prepara una sorta di messaggio collettivo a Washington, di protesta ma non di rottura. Cameron non cede. Mentre Jean Claude Juncker, premier uscente del Lussemburgo, invita tutti alla prudenza: «Siete sicuri che i vostri apparati non facciano lo stesso? Dopotutto, a luglio, proprio il mio governo è caduto per una storia di servizi segreti...». Arriva il caffè, e la domanda iniziale è sempre lì: «Ma Obama sapeva?» .
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