VIVA, VIVA LA TRATTATIVA! - NAPOLITANO RISPONDERÀ A TUTTE LE DOMANDE, ANCHE DEGLI AVVOCATI DI RIINA - I PM PORTERANNO LE CARTE SEGRETE SUGLI ATTENTATI DI COSA NOSTRA

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1. NAPOLITANO RISPONDERÀ A TUTTE LE DOMANDE  - NON SI SOTTRARRÀ NEANCHE AI QUESITI DELL’AVVOCATO DI RIINA

Marzio Breda per il “Corriere della Sera

GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO

 

Nessun rifiuto, risponderà a tutti. Ai pubblici ministeri di Palermo, ma anche all’avvocato di Totò Riina. Si lascerà interrogare «tranquillamente», Giorgio Napolitano, nell’udienza convocata per dopodomani al Quirinale, nella quale la Corte d’assise raccoglierà la sua testimonianza per un capitolo in margine al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia.

 

È smentito chi aveva cominciato a montare un giallo su quella specialissima (perché senza precedenti) deposizione, scommettendo su una «indisponibilità» del presidente a lasciarsi interrogare dall’avvocato Luca Cianferoni, difensore del boss dei boss di Cosa nostra. E smentita è pure l’alternativa, ventilata con altrettanta enfasi, di uno slittamento di almeno un anno del confronto.

 

LETTERA DI D'AMBROSIO A NAPOLITANOLETTERA DI D'AMBROSIO A NAPOLITANO

Non sarà così, trapela adesso dal Colle, perché negare quel «controesame» processuale o prendere tempo non conviene a nessuno. In particolare al capo dello Stato, da troppi mesi sotto una forte pressione politico-mediatica per una faccenda in cui è stato tirato dentro per i capelli, e comunque solo da teste.

 

Trascinato, in un primo momento, per alcune telefonate fattegli da Nicola Mancino, preoccupato per l’accusa di falso pendente su di lui. E poi per il passaggio sull’ipotesi di «indicibili accordi» accennata in una lettera indirizzatagli dal suo consigliere giuridico, Loris D’Ambrosio, destinatario di gran parte delle chiamate dell’ex ministro dell’Interno, anch’egli bersaglio della stessa campagna di stampa e alla fine stroncato da un infarto nel 2012. Ora, posto che sul punto per il quale è stata ammessa la deposizione (cioè la missiva di D’Ambrosio) il presidente ha già fatto sapere per iscritto ai giudici di non aver nulla da spiegare e che questo è quanto dovrebbe ripetere martedì, è sulle domande del legale di Riina — ammesse come «lecite» dalla corte — che qualcuno almanacca con malizia.

Toto RiinaToto Riina

 

Tutto nasce da un rapporto steso dal servizio segreto militare nell’estate 1993, e ricomparso negli archivi della Procura di Firenze appena un paio di settimane fa, nel quale si riferiva la segnalazione di una «sottofonte» in cui si evocava un rischio d’attentati per Spadolini e Napolitano, all’epoca presidenti di Senato e Camera. Ecco su cosa l’avvocato di Riina intende verosimilmente far ruotare le proprie domande.

 

salvatore riina2salvatore riina2

Il retropensiero che risulterebbe amplificato nell’udienza, è ovvio: suggerire (magari senza dirlo con questa brutalità) che, per sottrarsi alla minaccia, Napolitano — e, perché no?, pure Spadolini — possa aver in qualche modo sollecitato, e ottenuto, maggior protezione per sé e misure di favore per i mafiosi al cercare duro. Per cui, chissà: forse una mediazione tra pezzi dello Stato e le cosche potrebbe aver ricevuto anche una simile spinta.

 

Una tesi evidentemente insopportabile, per l’inquilino del Quirinale. Una tesi che, per chiunque conosca la memoria da elefante del Presidente, Napolitano vorrà sgombrare con l’aspro puntiglio di quando si tenta di trascinarlo (senza rispettare la carica costituzionale che ricopre) in polemiche infondate e strumentali. Lo farà, probabilmente, a partire da certi vecchi e dimenticati atti ufficiali, ancorché riservati.

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpegNICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg

 

Si sa, ad esempio, che in quei mesi il Sismi e il capo della polizia Parisi non risparmiavano segnalazioni di pericolo da parte mafiosa per esponenti politici e delle istituzioni, salvo archiviarle una volta verificata la loro affidabilità. Erano iniziative dovute, d’ufficio, insomma. Tanto che Scalfaro, allora capo dello Stato oltre che amico personale di Parisi, quasi ci scherzava sopra, sdrammatizzando.

 

 

2. TRATTATIVA, LE CARTE SEGRETE DEI PM AL COLLE - LA NOTA DEI SERVIZI, DATATA 20 AGOSTO ’93, CHE LEGA LE MINACCE A NAPOLITANO AL TENTATIVO DEI BOSS DI PIEGARE LE ISTITUZIONI

Salvo Palazzolo per “la Repubblica

 

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO

Eccolo, il documento del servizio segreto civile rimasto per vent’anni in un archivio, che ha già cambiato lo scenario dell’audizione del presidente della Repubblica al processo Stato-mafia. Martedì, al testimone Giorgio Napolitano non verrà chiesto soltanto della lettera inviatagli dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nel 2012: verranno rivolte domande anche sugli anni della trattativa, 1993-1994, così ha autorizzato la corte di Palermo su richiesta della procura.

 

E la ragione di questo ampliamento dell’audizione è proprio nel documento del Sisde datato 20 luglio 1993, che Repubblica ha potuto leggere. Il passaggio clou è a pagina 5, nel paragrafo in cui i servizi mettono in relazione il progetto di attentato nei confronti dell’allora presidente della Camera Napolitano alla trattativa tra i vertici di Cosa nostra e pezzi dello Stato.

 

IL PM NINO DI MATTEO IL PM NINO DI MATTEO

Proprio in quel documento, appena depositato al processo di Palermo, viene utilizzata per la prima volta la parola «trattativa» fra le righe di un atto ufficiale dello Stato. È il vero colpo di scena di questi giorni, attorno a cui ruoteranno le domande dei pm al presidente. Prima, parlerà il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, poi toccherà al sostituto Nino Di Matteo chiedere al testimone Napolitano cosa sappia della travagliata estate del 1993, la stagione delle bombe di Roma, Milano e Firenze. È anche l’estate in cui il Sismi, il servizio segreto militare, lancia l’allarme per un possibile attentato della mafia nei confronti dei presidenti di Camera e Senato, Napolitano e Spadolini.

 

Ventuno giorni dopo, il Sisde approfondisce. Il direttore del Servizio, il prefetto Domenico Salazar, scrive otto pagine dense di informazioni per spiegare che l’organizzazione mafiosa è alla vigilia di una nuova guerra intestina a Palermo, perché divisa tra falchi e colombe. Fra chi vuole proseguire la stagione delle bombe e chi cerca altre strade.

GIOVANNI SPADOLINI 
GIOVANNI SPADOLINI

 

L’ANALISI DEGLI 007

«In questo ambito – spiega Salazar – potrebbe essere inquadrata la notizia fornita dal Sismi su possibili attentati agli onorevoli Spadolini e Napolitano». E aggiunge: «I mafiosi, ormai certi di dover trascorrere il resto della loro vita scontando durissime pene, avrebbero raggiunto la convinzione che solo dal caos istituzionale sia possibile ricavare nuove forme di trattativa miranti ad ottenere forti sconti di pena nell’ambito di una più vasta e generale pacificazione sociale, necessaria all’instaurazione del nuovo ordine costituzionale».

 

GIOVANNI BRUSCAGIOVANNI BRUSCA

Trattativa, dunque. Parola fino ad allora mai entrata negli atti dei magistrati, nelle dichiarazioni dei pentiti e nelle analisi delle forze di polizia. Il pentito Giovanni Brusca, allora attivissimo capomafia, ne parlerà solo nel 1996. Come faceva dunque il capo dei servizi segreti a ipotizzarne l’esistenza? Mistero. Di sicuro c’è che Salazar, morto quattro anni fa, era un uomo schivo, di poche parole e grande efficienza, era stato catapultato dalla prefettura di Catania a Roma da appena tre settimane, per ridare slancio al Sisde travolto dagli scandali.

 

MANGANELLIMANGANELLI

Venti giorni dopo, due uomini simbolo dell’antimafia, Antonio Manganelli e Alessandro Pansa (oggi capo della polizia), rilanciano l’allarme in una nota del Servizio centrale operativo: «Obiettivo della strategia delle bombe sarebbe quello di giungere a una sorta di trattativa con lo Stato per la soluzione dei principali problemi che attualmente affliggono l’organizzazione».

 

L’ALLARME IGNORATO

Dunque, in quei mesi del 1993, qualcuno ai vertici delle istituzioni ha scoperto una «trattativa» dai contorni poco chiari. E ha sollevato il caso. Salazar scrive al ministero dell’Interno e ai vertici delle forze dell’ordine. Lo Sco gira la sua nota a diverse procure. Ma nessuno raccoglie l’allarme. Piuttosto, secondo la ricostruzione dei pm, lo Stato cede al ricatto: al ministro della Giustizia Giovanni Conso viene contestato di non aver prorogato 300 decreti di carcere duro. Lui, però, nega di aver mai trattato con qualcuno. È finito indagato per false dichiarazioni.

 capo della Polizia Alessandro Pansa capo della Polizia Alessandro Pansa

 

Ora, i pm di Palermo si preparano a chiedere a Napolitano cosa sappia di quei giorni del 1993. Gli fu comunicato l’allarme che lo vedeva come obiettivo della mafia? Sapeva della nota dei Servizi su una possibile trattativa? Dal Colle traspare malumore per l’allargamento del tema dell’audizione. Si ventila che il presidente potrebbe anche non rispondere alle nuove domande. Nella lettera inviata mesi fa alla corte, diceva di non sapere nulla della trattativa.