DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
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Perché Mattarella ha convocato Giuseppe Conte al Quirinale alle 17.30? Perché stamattina ha chiamato i due leader, chiedendo loro se fossero disposti a cambiare il nome in corsa. Se Di Maio ha risposto con un “no” cortese, Salvini ha invece abbaiato un “no” selvaggio. Ha fatto intendere di essere pronto a scatenare l’inferno, a portare il suo popolo in piazza coi forconi.
Il Presidente della Repubblica è pur sempre un vecchio democristiano che ha vissuto in prima persona la fase più buia dell’Italia repubblicana, e ha avuto paura. Il Mattarella di Dogliani, quello che poche settimane fa citava Einaudi e ribadiva la necessità di aderire ai principi europei e alle regole sui conti pubblici e ai trattati internazionli, si è scontrato con ostacoli inaspettati: la furia del leader felpato, in preda a un vero delirio di onnipotenza, ma anche all’ambizione sfrenata di questo giurista di taglia media ma dal lungo curriculum.
Come se non bastasse, ieri è intervenuta la Cei, con una specie di endorsement al nuovo governo: “Bisogna cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana”, ha detto Bassetti. D’altronde Conte, oltre che “devoto di Padre Pio”, sul curriculum ha messo in bella vista anche la formazione nel collegio Villa Nazareth, un tempo diretto dal Segretario di Stato Parolin. La spinta dei vescovi e la minaccia di Salvini sono due forze difficili da resistere. Ma il lavoro di Mattarella non è finito, è appena iniziato.
Oggi infatti ha due strade: convincere Conte a fare un passo indietro, col timore però di essere accusato dai leghisti e dai grillini più incandescenti di “atteggiamento golpista”– questa è la parola d'ordine già pronta a essere sparata –; oppure dargli un incarico non pieno, anzi pieno di paletti.
A cominciare dal nome di Paolo Savona al Tesoro: uno scoglio che il Quirinale ritiene insuperabile. La strategia dell’economista nelle prime settimane di governo sarebbe infatti molto semplice: fottersene assolutamente dello spread. Sfidare i mercati alla roulette russa: se lo spread arriva a 5-600 punti come in quel famigerato novembre 2011, Savona è pronto ad andare a Bruxelles e sfidare le istituzioni a rinegoziare tutto: regole, vincoli, strategie. Gioca sulla convinzione che l’Unione non può permettersi il default e dunque l’uscita dalla moneta unica della terza economia del continente.
Il secondo paletto, che va a braccetto con il niet a Savona, è il rispetto delle regole comunitarie. Se passa questo compromesso, Mattarella punta a trattare direttamente con Conte, ed è convinto – sempre da vecchio democristiano – di poterselo palleggiare come crede. Se Salvini e Di Maio affidano Palazzo Chigi a un terzo, perdono l'onore e l'onere di avere un filo diretto col Quirinale.
Il Presidente avrebbe anche consigliato ai due di restare fuori dal governo: se fate i vice di Conte, gli togliete ogni autorevolezza, anche sul piano internazionale, dove apparirà sempre come un pupazzetto in mano a voi due badanti. Ma sia Matteo che Luigino hanno fatto la bocca sui rispettivi ministeri (nei loro piani destinati a essere super-ministeri) e difficilmente ascolteranno il consiglio.
Salvini tra i suoi ha già manifestato l’intenzione di ribaltare le politiche migratorie di Minniti: se questo ha stretto accordi (indiretti, ufficiosi ecc. ecc.) con gli scafisti per fermare le partenze in cambio di soldi, il leghista è pronto a cancellarli proprio alla vigilia dell’estate, quando le traversate sono più numerose. L'idea in stile dottor Stranamore è farli partire e mandarli a picco per mostrare il suo pugno duro all’Africa e all’Europa.
Sul piano internazionale, Merkel, Macron e i principali partner europei restano alla finestra fino alla fiducia al nuovo governo, ma dietro le quinte sono parecchio delusi dalle scelte del Quirinale. Sentono la mancanza di quel ruvido comunista di Napolitano, che non avrebbe mai permesso la nascita di un governo populista nel cuore di un paese fondatore. Speravano nel piano Berlusconi, ai loro occhi il male minore: un esecutivo di centrodestra che deve trovare i voti in Parlamento vuol dire il massimo del compromesso e il minimo degli strappi.
Invece da qualche settimana hanno allertato tutti gli ambasciatori a Roma, in contatto costante con l'ambasciatrice Emanuela D’Alessandro, consigliere diplomatico di Mattarella. Se e quando il governo partirà, sono pronti a una reazione durissima.
Non solo: si mormora in ambienti sotterranei che lo smascheramento del curriculum di Conte venga dai servizi segreti dei paesi amici, che con i loro potenti mezzi possono entrare facilmente nei database delle molte, troppe, università citate nel cv del professore. Il ‘fact-checking’ è stato infatti rapidissimo, e globale.
Tornando alla lista dei ministri, le possibilità sono due: Conte (e i suoi danti causa) accettano i vincoli del Quirinale e scelgono nomi come Massolo e Moavero Milanesi – ovvero figure conosciute e rispettate all’estero –, evitando di mettere un cavallo pazzo a via XX Settembre.
Oppure, ed è uno scenario davvero inedito, la coalizione Lega-M5S forza la mano, sceglie Savona o Borghi o personaggi altrettanto incendiari, e Mattarella si mette a bocciarli uno a uno, fino a costringere il premier incaricato a rimettere il mandato. Sarebbe una crisi istituzionale mai vista prima, dagli esiti imprevedibili.
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