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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1- DI PIETRO SUL TRENO DEI VOLTAGABBANA - IL LEADER DELL'IDV ADESSO VUOLE LA MORATORIA TAV, MA DA MINISTRO ERA IL PRIMO SPONSOR
Paola Setti per "il Giornale"
Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione, diceva James Russell Lowell il poeta. E Antonio Di Pietro, che oltre a esser vegeto stupido non è, le opinioni le ha cambiate tutte, e tutte sullo stesso tema.
A guardarla da fuori, la Val di Susa, si rischia lo strabismo, perché la Tav è necessaria e urgente oppure inutile e dannosa a seconda non tanto di chi ne parla, ma di quando governa. Unendosi al coro di una folta schiera di No Tav che dalla Puglia di Vendola arriva alla Napoli di De Magistris passando per il sacerdozio di don Ciotti, dice oggi Tonino che serve «una moratoria per effettuare una verifica tecnica» sull'opera. Una tregua insomma, durante la quale il governo deve «interloquire con la Ue per valutare l'opportunità del mantenimento del Corridoio 5, perché il progetto risale a 30 anni fa».
Peccato che da ministro delle Infrastrutture, Tonino in valle diede il meglio di sé nel senso opposto. E non 30 anni fa, quando in verità il progetto non c'era ancora, ma soltanto cinque, era il 2007 e lui, vera locomotiva del treno veloce, strigliava chiunque temporeggiasse, a partire dal suo collega ai Trasporti, il comunista italiano Alessandro Bianchi. Del resto, ancora due anni fa, era il 2010, l'Idv votò a favore degli emendamenti che impegnavano il governo a procedere spedito sul treno veloce.
E allora eccolo, il Di Pietro dell'altro ieri. «à urgente dar seguito a quello che è un impegno europeo» diceva il 21 giugno 2006, aggiungendo il 31 luglio successivo la sua «preoccupazione per il dissenso fine a se stesso, di chi dice di no solo per una sua ragione di vita esistenziale». A Bianchi che s'attardava dialogando, Di Pietro il 23 gennaio 2007 non le mandò a dire: «Siccome parliamo di un'opera in cofinanziamento europeo e in corresponsabilità con altri stati, i tempi non possono essere dettati solo da esigenze locali o dalla politica nazionale».
I contestatori poi non gli piacevano e non ne faceva mistero: «Il problema è uscire dallo pseudo ambientalismo - attaccava il 20 marzo - Ogni volta che si fa qualche cosa si tira fuori la parola ambiente, non per salvarlo ma per conseguire risultati politici». Da che pulpito, vien da dire oggi.
Era così determinato, Tonino, da beccarsi gli strali di Vittorio Agnoletto, che lo definì «un ultras dell'alta velocità ». E in effetti lui non vacillò mai. Sferzò più volte i colleghi del governo Prodi a prendere una decisione chiara «perché l'Europa ci guarda». Ci credeva tanto, al treno del Piemonte, da decidere di definanziare altre opere che non avessero lo stesso «requisito di urgenza». A proposito: fra le tratte che all'improvviso persero appeal e soldi, spiccava il Terzo valico di Genova, stoppato dopo 30 anni di progetti e a un passo dal primo scavo del «talpone». Tonino una bella mattina arrivò sotto la Lanterna e a lorsignori genovesi pronti pure ad autotassarsi pur di dare uno sbocco alle merci del porto, disse risoluto: «Abbiamo altre priorità , il Terzo valico si ferma qui».
Due giorni fa, prima di abbracciare la moratoria, Di Pietro s'è fatto venire un ripensamento: «E se invece che la Tav in Val di Susa facessimo il Terzo valico a Genova?». Vabbè, c'è il «talpone» che ancora si rigira nella tomba della galleria Flavia. Quando infine, il 19 novembre 2007, la commissione europea ufficializzò il cofinanziamento della Torino-Lione, l'allora ministro esultò: «Obiettivo raggiunto, nonostante i tanti tirapiedi che hanno sempre remato contro e polemizzato a non finire, con il malcelato obiettivo di poter attaccare il governo. à la vittoria del partito del fare».
Bisogna dire che, potenza della ricerca di consensi, Tonino è in buona compagnia. Sarà un caso, ma proprio in questi giorni in cui la sua Idv ha iniziato ad annusare a fini elettorali pure gli sporchi padani, viene in mente che pure la Lega è salita e scesa dal treno in corsa a seconda che fosse di lotta o di governo: contro fino al 2001, a favore fino al 2005, poi con i contestatori e poi contro di loro.
Quanto alle ambiguità del Pd, bastano e avanzano le parole di uno (di loro) come Sergio Chiamparino: «Se fossi stato nei panni di Bersani a Vasto avrei detto: cari Vendola e Di Pietro, la foto con voi la faccio solo se dite pubblicamente che siete d'accordo con la Tav». E però vatti a fidare della parola data.
Diceva ancora Di Pietro il 28 marzo del 2008: «Tornare indietro rispetto al lavoro di concertazione degli ultimi 18 mesi è un'idea irresponsabile: trasformerebbe la Val di Susa in un nuovo Libano, in preda alla ribellione». Lo stesso, ora Tonino si schiera coi ribelli e vuole ridiscutere tutto. Solo gli stupidi non cambiano mai idea. Ma, lo diceva Mao Tse-tung, «solo gli stupidi sollevano pietre che poi ricadono sulla loro testa».
2- FRANCO BARBATO: «L'IDV à MORIBONDA: VIA DI PIETRO DAL SIMBOLO»
Brunella Bolloli per "Libero"
Attento, Tonino. «Così non va. Da moribondi diventiamo morti». Il fustigatore della casta, Francesco Barbato, riccioluto deputato dell'Italia dei Valori natìo di Camposano (Na), terrore dei transfughi con velleità da 007 del Palazzo, dopo avere seminato il panico per alcune interviste non autorizzate ai colleghi, mira direttamente al bersaglio grosso: i suoi compagni di banco, anzi di scranno, capitanati da Antonio Di Pietro. Al grido di «via il centrosinistra riciclato e niente più riferimenti politici nel simbolo».
Barbato, con chi ce l'ha?
«Con la logica delle clientele, con i soliti soliti noti che sono ancora tutti ai loro posti nei partiti referenziali. Ce l'ho con i personalismi della politica».
Parla lei che è stato eletto in un partito che si chiama "Di Pietro-L'Italia dei Valori". «Veramente non ho mai preso la tessera e non so neanche se la prenderò. L'unica che ho preso è stata per il partito socialista, prima che finisse distrutto dalle tangenti. Però il discorso è un altro».
Sentiamo.
«Sono dell'idea che tutti i partiti siano morti. E l'Idv è l'unico partito meno "partito" degli altri».
Traduciamo il Barbato-pensiero.
«Nel senso del participio passato del verbo partire. Cioè, l'Idv c'è ancora a livello nazionale, grazie a Di Pietro, a Lannutti, a De Magistris e a quelli come me, ma rischia di scomparire se non si dà subito una regolata a livello locale. Dobbiamo ascoltare i cittadini che rivendicano autonomia nelle scelte dei loro territori. C'è una miccia pronta a esplodere. Vedi in Val di Susa, dove vogliono cacciare i coloni, vedi a Pozzuoli dove la gente manifesta contro la discarica nel parco Castagnaro».
Quindi lei è dalla parte dei No Tav?
«Non sto con i violenti, ma con i cittadini che non vogliono essere scavalcati da commissari straordinari nominati dall'alto. Per questo non ho partecipato all'evento odierno in un hotel a Napoli di Pd, Sel, IdV, Verdi. Se la cantano e se la suonano da soli».
Cosa propone?
«Io credo che l'Idv, già da queste Amministrative, debba cominciare a dare un segno forte. Deve cambiare il simbolo».
Via il nome di Di Pietro?
«Esatto. Via i personalismi, sì ai simboli dei sani localismi. Il partito farebbe un bel gesto se rinunciasse alla sua sovranità e si accodasse ai movimenti dando vita a una lista civica nazionale. Un po' come nel 2007, io ne fui promotore con Travaglio».
Ne ha parlato con Di Pietro?
«Dirò di più. Io propongo, per aprire ancora di più il partito, un congresso straordinario, palingenetico».
Addirittura.
«Un grande bagno civico, da tenersi prima dell'estate, per ospitare tutti i fermenti in atto nella società civile».
E dopo il bagno, è ancora valida la foto di Vasto? I suoi colleghi dicono di sì.
«Ritengo sia una foto del secolo scorso. Frutto di un accordo tra partiti, visioni novecentesche. Serviva per eliminare Berlusconi, ma se poi si fanno le stesse cose che faceva lui, ora a che serve?».
Quindi lascerà l'Idv?
«Se l'Idv cambierà , come io spero, aprendosi ai cittadini allora prenderò anche la tessera. Ma se stiamo a fare i giochetti della sinistra a palazzo con Pd e compagni, allora potrei lasciare».
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