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Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"
Faccia a faccia in caserma tra Roberto Formigoni e Ilda Boccassini. Il presidente uscente della Regione Lombardia è stato interrogato in gran segreto due giorni fa come «persona informata sui fatti» dal procuratore aggiunto milanese e responsabile della Direzione distrettuale antimafia in relazione all'arresto di Domenico Zambetti, l'assessore pdl alla Casa indiziato di voto di scambio con la 'ndrangheta (200.000 euro per 4.000 preferenze alle regionali 2010 secondo l'accusa), concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata.
A Formigoni è stato chiesto quale fosse l'origine dei sospetti che il governatore, dopo l'arresto in una intervista ad Alessandro Milan su Radio24, aveva rivelato di aver nutrito già quando nel 2010 aveva fatto un rimpasto di giunta, al punto che «non avrei voluto riconfermare Zambetti». «Ma perché, non li sceglie lei gli assessori»? si era stupito il giornalista, e Formigoni: «Sa, il presidente eletto è anche supportato dai partiti. Non siamo dei dittatori sudamericani».
Aveva dunque avuto dei sentori? «No, di quello che è successo no, ma circolavano delle strane voci», anche se «bisogna tener conto che purtroppo in questo periodo, anzi in questi 20 anni a Milano, delle voci circolano su quasi tutti gli uomini in politica. E quindi si tratta di capire e andare con i piedi di piombo».
Cosa abbia risposto Formigoni, non alla radio ma al pm, si saprà solo quando il suo interrogatorio verrà depositato e sarà possibile verificare la rispondenza o meno ai rumors politici circolati all'indomani dell'arresto, secondo i quali il presidente, allertato da compagni di partito incuriositi o indispettiti per le apparentemente notevoli disponibilità di Zambetti in cene e manifestazioni elettorali, prima avrebbe chiesto lumi al suo assessore, venendone rassicurato, e poi avrebbe ricevuto garanzie sull'affidabilità di Zambetti dall'ex capocorrente di Zambetti nell'Udc, l'allora ministro della Nuova Dc Gianfranco Rotondi.
Che già nei giorni scorsi aveva replicato: «Se il presidente Formigoni intende girare a me la responsabilità della resa della sua giunta, nello spirito dell'antica amicizia mi presto volentieri a scaricarlo dagli imbarazzi che le cronache di questi mesi gli procurano. Su Zambetti dico una cosa una volta per tutte: l'ho sempre conosciuto come un galantuomo».
In vista dell'odierna udienza al tribunale del Riesame sull'arresto di Zambetti, il pm Giuseppe D'Amico ha intanto depositato l'interrogatorio come teste della sua segretaria Enrica Papetti.
«Capitava che l'assessore alla Casa mi segnalasse qualcuno da assumere all'Aler» (l'ente case popolari controllato dall'assessorato). Ma nell'elenco che la segretaria fa, sono tutti ex collaboratori di Zambetti tranne una ragazza: proprio la figlia di Eugenio Costantino, uno dei due arrestati che per l'accusa erano i portavoce dei clan di 'ndrangheta dai quali Zambetti avrebbe acquistato voti. Come mai Zambetti spinse per la sua assunzione? «Non lo so. Io non mi facevo troppe domande. Il mio compito era esecutivo e basta».
Certo il rapporto tra l'assessore e Costantino, stando alla segretaria, era curioso. Da un lato, «Zambetti aveva un atteggiamento di fastidio quando riceveva telefonate da parte di Costantino, ricordo che dopo una sua telefonata mi disse "lascia perdere quei calabresi"». Dall'altro, Costantino si presentava in Regione anche senza appuntamento, ad esempio a cercare un altro funzionario «per una pratica che riguardava la sanità ».
E quando una dirigente dell'Aler chiese a Zambetti di richiamare la ragazza «perché si vantava di conoscere l'assessore e la sua segretaria, l'assessore mi invitò a telefonare alla figlia di Costantino per dirle che lei era lì per fare il suo lavoro, raccomandandole di tenere un comportamento più discreto».
Sullo sfondo aleggia sempre la questione del finanziamento politico. «Spesso l'assessore - racconta la segretaria - mi portava a cene preelettorali. Tutti noi dello staff della segreteria», cioè personale della Regione Lombardia, «eravamo allertati durante la campagna elettorale. Il nostro compito, nelle cene o negli aperitivi preelettorali, era distribuire il materiale propagandistico». Chi pagava? «Di solito pagava direttamente lui i ristoranti o i bar. à capitato che questi eventi venissero offerti da qualcuno dei sostenitori. à capitato anche che Zambetti mi dicesse che sarebbe passato il consigliere di zona che aveva organizzato l'evento e mi consegnasse la somma per saldare il conto, cosa che io facevo».
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