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P. DM. Per La Stampa
Nella guerra doganale tra Russia e Ucraina si inserisce l'Unione Europea, terzo giocatore senza una strategia condivisa e in una partita dagli esiti ancora molto incerti. Dopo le tensioni per il gas e il blocco di importazioni di dolciumi, Mosca è tornata a fare la voce grossa minacciando Kiev sulla firma, prevista per fine novembre a Vilnius, che dovrebbe avvicinare l'Ucraina all'Ue facendola uscire definitivamente dalla sfera d'influenza russa.
«Se i nostri vicini si muoveranno per liberalizzare il regime doganale con l'Ue, allora i Paesi dell'Unione Doganale (Russia, Kazakhstan e Bielorussia, ndr) penseranno di adottare misure restrittive» ha dichiarato ieri Putin. Parole che sono state accolte come un ricatto da Bruxelles che, pur avendo numerosi partner antirussi, non ha rapporti semplici neppure con l'Ucraina.
La firma dell'accordo di Vilnius è infatti sotto ipoteca. L'Ue l'ha congelato in attesa della liberazione dell'ex premier Julia Timoshenko, ancora ricoverata all'ospedale di Kharkiv per un'ernia al disco. Kiev ha rilasciato una dichiarazione sibillina, affermando che la Timoshenko potrebbe essere trasferita a Berlino per le cure, ma molto dipende da come si svilupperanno nelle prossime settimane i rapporti con Mosca.
Putin, tuttavia, non deve solo occuparsi del fronte ucraino. Il presidente russo sta infatti per volare verso un altro confine, quello con la Cina, dove il fiume Amur, vicino a Khabarovsk, è in piena e sfiora ormai i 7 metri. Le inondazioni stanno mettendo in allarme tutta la Russia Orientale dove ci sono già 23.000 sfollati.
«Dobbiamo valutare tutti i danni e di pianificare azioni specifiche» ha dichiarato Putin. In zona già stanno lavorando 10.000 persone del ministero delle Situazioni di Emergenza. Se la situazione non dovesse migliorare, si dovrà affrontare l'evacuazione di una città come Khabarovsk con una popolazione di mezzo milione di abitanti.
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