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Enzo Bettiza per "la Stampa"
Probabilmente, o quasi sicuramente, le sanzioni minacciate dall'Occidente non fermeranno le sfide annessionistiche di un Putin zarista intento a riportare nei confini della Russia storica le province perdute. Fra l'altro si ha l'impressione che la Russia non debba neppure sforzarsi troppo.
Abbiamo visto la Crimea russofona consegnarsi per così dire da sola nelle braccia della grande madre slava. Sfidando platealmente le sanzioni di Washington e di Bruxelles, non turbato dall'esclusione di Mosca dal G8, che ridotto a sette non si riunirà più a Sochi, Putin sembra non avere proprio intenzione né di fermarsi né di giustificarsi. Anzi ha voluto dare, non a caso, un solenne risalto mediatico alla sua mano che firma l'accordo per l'ingresso della leggendaria penisola nella Federazione russa.
La ratifica della Duma è di fatto ormai scontata: basterà approvare una nuova legge che riconosca la Crimea e Sebastopoli come nuovi membri dello Stato russo via via dilatato e restaurato. Stiamo assistendo ad un graduale recupero dei confini perduti nei due ultimi decenni che hanno visto la metamorfosi della defunta Urss in Russia moderna quanto esigente .
Fino a che punto vorrà o potrà spingersi con i suoi appetiti annessionistici? Per intanto i graduali passi di recupero dei vecchi pezzi si fanno incalzanti e sempre più arroganti nei confronti dell'Occidente. Un Occidente che per il momento non può che incassare i colpi dello zar nostalgico e restauratore. Certo, la Russia sembra ripercorrere in parte i vecchi sentieri imperialistici del Cremlino.
Ma al tempo stesso non dovremmo sorvolare sul fatto nuovo, e a suo modo aggressivo, che vede il vecchio agente del Kgb muoversi su un doppio binario: da un lato la restaurazione quasi automatica di antichi metodi di provocazione e di sfida all'Occidente; dall'altro il decollo a suo modo paradossale, di una Russia rinnovata, ricca, competitiva sulle borse e le piazze d'affari d'Europa e d'America.
Mai come in quest'ultima decade, dominata da Putin, la Russia c'era apparsa altrettanto capace di concorrere in una moderna dimensione capitalistica con le più navigate potenze occidentali basate sul libero mercato. C'è di che stupirsi dal punto di vista storico e psicologico: stiamo vedendo il rublo competere gagliardamente con il dollaro, l'euro, lo yuan cinese.
Forse queste complessità contraddittorie della Russia odierna dovrebbero essere meglio soppesate dalle potenze occidentali, sempre pronte a sanzionare e punire l'orso russo piuttosto che ammansirlo e accoglierlo entro i recinti della modernità . Anche se i metodi del Cremlino possono qua e là rievocare quelli sovietici della guerra fredda, nella sostanza non si dovrebbe mai dimenticare che, sia pure con i loro modi logori, le nuove élites politiche russe, compreso il bifido Putin, intendono competere con l'Occidente e non soltanto avversarlo. Insomma dovremmo interpretare in maniera più articolata le ultime, fiammeggianti dichiarazioni di Putin contro gli Stati Uniti.
Da un lato sembra di riascoltare nel sottofondo squarci di vecchi ritornelli sovietici antiamericani; ma dall'altro pare anche di cogliere una nota di positiva competitività con il dinamico scacchiere dell'Occidente.
Avere a che fare con la Russia di Putin, il quale gode di vasta popolarità e consenso in patria, non è facile per l'America, e lo è nondimeno per un'Europa che cerca tuttavia di mantenere aperti i canali di comunicazione con il nuovo Cremlino. E' la Germania, guidata dalla tedesca orientale Merkel che parla il russo come una seconda lingua madre, la punta di diamante di una politica continentale europea orientata al dialogo più che allo scontro con gli eredi dell'impero sovietico.
Nessuno meglio della Cancelliera, nata e cresciuta nella Ddr, poteva e potrà rappresentare una proficua politica di scambio fra l'Est e l'Ovest del vecchio continente. Sarà utile ricordare per di più che Putin ha trascorso una parte della sua vita e della sua carriera d'agente a Dresda, nella Germania allora «orientale» e comunista.
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