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posata la prima pietra del grattacielo curvo di libeskind
Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera”
Pare che il «vecchio» don Salvatore (Ligresti), ogni volta che si parlava dei «suoi» grattacieli vincitori di CityLife non sobbalzasse come molti altri sulla poltrona, bensì a si limitasse a sussurrare: «Tanto, poi, li raddrizziamo».
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Un pochino di ragione, il vecchio don Salvatore, ce l' aveva, perché gira e rigira i grattacieli di City Life si sono un pochino drizzati: i pilastri della Hadid sono meno ritorti che nell'originale angolo di curvatura e quello di Libeskind si è tirato un po' su e persino scoperchiato: sì, la parte sommitale non sarà chiusa, bensì un' enorme grata che consentirà ai vani tecnici posti all' interno di prendere aria (tranquilli! Non ci piove dentro).
Ma superata questa cura posturale, questi anni di duro pilates , da oggi anche il terzo grattacielo (il curvo) inizia la salita per affiancarsi allo storto e al dritto, che pure presenta una singolarità mica male: curiosamente, i quattro puntoni dorati che vediamo al suo esterno non servono - come tutti giustamente penserebbero - per questioni strutturali, ovvero per non farlo borlà giò.
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Sono quasi un vezzo del giapponese Isozaki, che gli italici ingegneri hanno invano tentato di fargli togliere. L' altra sera, alla festa per la posa della prima pietra (pietra si fa per dire…) dell' ultimo grattacielo, Daniel Libeskind sembrava sprizzare orgoglio e gioia. Era al 13mo piano di una delle abitazioni da lui firmate per CityLife, appartamento da 250 metri quadri già venduto e ideato, chiavi in mano (e anche carta di credito alla mano), dalla stylist Rossana Orlandi: abitarci parrebbe uno sfregio.
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Sembra di essere in un mini-Moma personale con in più l' ormai consueta (c' è anche al Bosco verticale) vasca da bagno con vista su Milano: lì, lavarsi è un' altra cosa.
Libeskind, mezzo italiano (qui è nata la figlia), non ha celato il suo entusiasmo per l' avvio dei lavori: «Qui è nato un nuovo hub urbano», ha raccontato.
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Di più: «Questo dell'ex Fiera Campionaria è l'unico grande spazio urbano che si è liberato nel centro di una città europea. A Parigi non c' è, non c' è da nessuna altra parte». Il futuro meneghino, per Libeskind, passa proprio da qui: «futuro», ha ripetuto più volte, «futuro». E anche dialogo tra architetti, perché, sostiene, «le tre torri non sono ciascuna per gli affari propri, ma dialogano, sembrano tre persone intente a parlare».
«Quando è stato disegnato il master plan, si è pensato a tre torri come buoni vicini di casa, non come oggetti che se ne stanno lì calati uno diverso dall' altro», ha detto. «Le tre forme sono in conversazione e orientate verso punti strategici del territorio circostante».
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Milano? «È una città all' avanguardia con i tempi, l' unica comparabile con le maggiori realtà internazionali». Di più: «Diciamo che c'è uno stile Milano e che queste opere rappresentano: qui si lavora, si fa rete». E lo dimostrano non solo queste opere: «Tutta la città è rinata, anche con Garibaldi-Repubblica, con la Torre Velasca».
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Poi ci sarebbe il famoso rovescio della medaglia (periferie degradate, non voto, forbice ricchi-poveri…); ma nel contesto dei gamberetti che accompagnano la posa in opera non è cosa. E poi c' è il 50% di verde messo a disposizione di tutti i cittadini. «Mmmmmmmmmmmmmmmm», verrebbe da dire: sedici lettere, un' onomatopea, la stessa la quale Tom Wolf iniziava il racconto di quella celebre cena a casa Bernstein a Manhattan (anche l' altra sera c' era la musica) che - tra bollicine e Roquefort - diede origine al bel mondo radical-chic. Che in milanese fa radical-sciôr .
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