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Francesco Fontana per gazzetta.it
«Un sogno, sono felice». Parole normali se il personaggio in questione fosse una star della musica. Diverso se, a parlare, è un attaccante che ha vestito le maglie di Roma, Inter, Juventus e Nazionale. Pardon, un ex. Perché nel settembre 2016 ha detto basta a soli 30 anni. Scelta forte, clamorosa se si considerano le tante offerte respinte: «Quanti soldi dalla Cina, ma il calcio non era più il mio mondo. Solo un business senza passione che iniziavo a odiare».
Errori, donne, doping e omosessualità. Persone importanti, nemici e band. Non basterebbe un libro per raccontare Pablo Daniel Osvaldo. Lo fa lui stesso. Perlomeno ci prova, in esclusiva per La Gazzetta dello Sport: «Ora c‘è la musica. Con Sergio, Taissen, Julen e Agustin abbiamo fondato i ‘Barrio Viejo’. Vorrei ci ascoltassero per il nostro valore, non per il mio nome».
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Quando ha deciso di lasciare?
«Al Boca. Troppo gossip, non potevo uscire di casa. Avevo paura della gente, non ce la facevo più».
Ma le offerte non mancavano...
«Cina e club da Champions, ma avevo staccato. Iniziavo a odiare ciò che avevo sempre amato. E al denaro preferisco l’asado e una bella birra».
Non è troppo duro?
«Tutt’altro, sono onesto. Non esiste giocare solo per soldi. Il calcio merita rispetto, non avrei mai potuto tradirlo».
E se la chiamassero ora?
«Vuole ridere? A dicembre 2016 mi contatta Sampaoli, all'epoca al Siviglia: ‘Dani, non ti chiedo nulla. Fai ciò che vuoi in campo e fuori, ma mi serve una punta’. ‘Mister, ma c’è il ‘Cosquín Rock’ (festival musicale argentino, ndr)’. Lui: ‘Vero, dimenticavo! Vai pure, di certo non puoi perderlo’. Due pazzi».
In carriera più amici o nemici?
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«Non saprei, ma di persone che non hanno voluto il mio bene ne ho incontrate. Mi riferisco al signor Prandelli, che mi escluse da Brasile 2014 dopo i gol nelle qualificazioni. Ascoltò media e pubblico che non volevano l’argentino con la numero 10. E quindi portò Cassano. Ero frustrato, ma nulla contro Antonio».
Di lei si diceva non fosse un vero professionista.
«Cazzate. Mi sono sempre allenato al top, parlavano perché ero stravagante. Al 90’ per me finiva tutto e non ero un Cristiano Ronaldo che faceva palestra a casa dopo allenamento. Ma questo cosa vuol dire? Avevo anche altri interessi, e questo lo pagai».
Un ‘santo’, quindi.
«(Ride, ndr). Non esageriamo. Ero un ribelle che ha commesso degli errori, ma in campo ero il migliore. Poi la sera uscivo, cose normali. Purtroppo da voi esistono le etichette...».
Mancanza dell'Italia?
«Torno spesso, lo farò nuovamente non appena sarà passato l’inverno. Da voi è pesante, non ricordo con piacere la neve di Bergamo...».
E del calcio? Sia sincero.
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«Ho vestito maglie importanti. Ho giocato con Totti, De Rossi, Pirlo, Buffon e tanti altri campioni. Al momento non ti rendi conto, dai tutto per scontato. E sinceramente solo oggi capisco quella fortuna, ma non mi manca».
Soddisfatto di quanto ottenuto?
«Fossi stato diverso, più professionale, non avrei avuto certi colpi. Non ero uno che cercava sempre di migliorare, mi bastava il talento e andava bene così».
Qualcosa che non rifarebbe?
«A Roma avrei dovuto gestire meglio certi momenti. Ma lì c'è gente malata di calcio che ti insulta se non baci la maglia, quasi dimenticandosi dei 28 gol in 2 anni. Avrei voluto farmi rimpiangere, sarei rimasto un altro anno solo per questo».
Ma qualcosa avrà pur sbagliato.
«Sono fatto così, se qualcosa non va lo dico anche a Papa Francesco».
Pace fatta con Lamela?
«Ma certo... Uno scontro subito risolto, ma i media fecero casino. Ragazzo d’oro, lo abbraccerei».
E con Mancini?
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«Gli tirai un cazzotto dopo Juve-Inter del 2015. ‘Vuoi fare a botte?’. Lui: ‘Ma non dirmelo davanti a tutti’. Se non mi avesse cacciato avrebbe perso autorevolezza agli occhi degli altri. Poi andai nel suo ufficio di Appiano piangendo, mi vergognavo. È un grande, anche lui con un bel carattere».
Come Icardi?
«Un normale ‘vaffa’. È fortissimo, spero possa segnare tanto anche in nazionale. Contano solo i gol, non la sua vita privata».
L’Inter è un rammarico?
«No. Dopo andai al Boca, un sogno».
All’Espanyol il periodo più bello?
«Insieme a quello di Roma».
Le persone più importanti?
«La famiglia, gli amici e il mio agente Decoud».
Chi sceglie tra gli allenatori?
«Pochettino un top, ma Conte è il migliore: faceva sentire tutti importanti. Ti catturava con il suo modo di fare. Poi Zeman. Diverso, meno sanguigno e più boemo, ma grandissimo. Mi ricorda tanto Menotti».
Esiste l’amicizia nel calcio?
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«Certo, per me De Rossi è un fratello. Amico vero, persona eccezionale».
Lei e Balotelli siete simili?
«Ne ha combinate più di me! Ci conosciamo dai tempi dell’Under-21, gli voglio bene».
E Totti?
«Mi levo il cappello, ha fatto la storia del calcio italiano e mondiale. Ragazzo fantastico, fa morire dal ridere».
Più di Cassano?
«No, Antonio resta irraggiungibile! Ma non paragonateci, io sono molto più tranquillo».
Dice di aver avuto 6-700 donne.
«Allora mi distrugge! Io sono un po' strano... Per me l’intelligenza conta più della bellezza».
Le piacciono i social?
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«Oggi la prima cosa che i giocatori fanno rientrando negli spogliatoi è guardare il cellulare. Non esiste. Purtroppo è il mondo attuale che va così».
Ha mai visto il doping?
«Prima c’era, ma la nostra generazione è più controllata».
E l’omosessualità?
«I gay ci sono, ma hanno paura del coming out. Il calcio non è pronto, verrebbero distrutti».
Oggi che uomo è Osvaldo?
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«Sono cresciuto in fretta, padre giovanissimo. Oggi, invece, sono un uomo maturo e presente per i miei figli. Quando mi vedono impazziscono».
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Cosa direbbe a un bimbo di 6 anni che sogna con un pallone tra i piedi?
«Divertiti, evita le persone cattive e tutto lo sporco che c’è attorno».
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