L'incipit de "Il ragazzo" di Annie Ernaux pubblicato da la Stampa (il libro uscirà in Italia il 9 novembre)
annie ernaux
Facevo l’amore per provare che il piacere più grande è la scrittura
Cinque anni fa ho passato una notte impacciata con uno studente che mi scriveva da un anno e aveva voluto incontrarmi.
Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere. Volevo trovare nella fatica, nella derelizione che ne segue, delle ragioni per non aspettare più niente dalla vita. Speravo che la fine dell’attesa più violenta che ci sia, l’attesa di godere, mi facesse provare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro. È stato forse proprio il desiderio di mettere in moto la scrittura di un libro - che esitavo a cominciare a causa della sua ampiezza - che mi aveva spinto a proporre ad A. di venire da me per bere qualcosa dopo una cena al ristorante durante la quale, per timidezza, aveva a malapena aperto bocca. Era di quasi trent’anni più giovane di me.
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Ci siamo rivisti nei weekend, durante la settimana ci mancavamo sempre di più. Mi chiamava ogni giorno da una cabina telefonica per non insospettire la ragazza con cui viveva.
Né lei né lui, presi com’erano tra le abitudini di una convivenza precoce e le preoccupazioni per gli esami, avevano mai immaginato che fare l’amore potesse essere qualcos’altro rispetto al soddisfacimento più o meno dilatato di un desiderio. Essere una sorta di continua creazione. Il fervore che manifestava di fronte a questa novità mi legava ancora di più a lui. Progressivamente, l’avventura era diventata una storia che avevamo voglia di portare fino in fondo, senza nemmeno sapere bene cosa questo significasse.
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Quando, con mia soddisfazione e sollievo, si è separato dalla sua ragazza, e lei ha lasciato l’appartamento, ho preso l’abitudine di andare da lui il venerdì per restarci fino al lunedì mattina. Abitava a Rouen, la città in cui anch’io ero stata studentessa negli anni Sessanta e che in seguito per lungo tempo mi ero limitata ad attraversare quando mi recavo al cimitero di Y per visitare la tomba dei miei. Appena arrivavo, abbandonate in cucina senza nemmeno toglierle dai sacchetti le provviste che avevo portato, facevamo l’amore. Nello stereo era già pronto un cd, partiva nel momento in cui mettevamo piede in camera, nella maggior parte dei casi i Doors. A un certo punto smettevo di sentire la musica.
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Gli accordi marcati, enfatici, di Love Street, e la voce di Jim Morrison tornavano a raggiungermi. Restavamo sdraiati sul materasso poggiato direttamente sul pavimento. A quell’ora il traffico era intenso. I fari proiettavano bagliori sulle pareti della stanza attraverso le ampie finestre senza tende. Mi sembrava di non essermi mai alzata da un letto, lo stesso letto da quando avevo diciotto anni, ma in luoghi differenti, con uomini diversi e indistinguibili l’uno dall’altro.
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Traduzione di Lorenzo Flabbi
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