Laura Cesaretti per "il Giornale"
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«Il Quirinale? Lasciamo stare». Lo dice col solito mezzo sorriso sornione che fa pensare ai maligni che si schermisca più per vanità che per convinzione. Ma stavolta Romano Prodi potrebbe davvero aver messo una pietra sopra al sogno (ripetutamente infranto) di fare il presidente della Repubblica, a giudicare dalla performance televisiva di ieri a Mezz' ora in più.
Durante la quale ha bacchettato tutti gli interlocutori politici (e possibili portatori di voti per il Colle): persino Enrico Letta, suo pupillo politico, e dunque potenziale supporter principale, ha ricevuto una lavata di capo pesante: prima l'ex premier ha ricordato di averlo creato lui («Quando metti un ragazzo, come era Letta allora, sottosegretario, vuol dire che uno si fida»), poi gli ha rimproverato di guidare un partito politicamente afono e poco incisivo sulle questioni serie: «L'attuale programma del Pd è un po' troppo ristretto. Ci vuole una proposta sul lavoro, sul tipo di crescita economica, sull'organizzazione della società post-pandemia. Non bastano i diritti individuali, bisogna coinvolgere la gente».
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Il Pd «ha bisogno di avere un messaggio che interpreti il momento», se riuscisse ad avere una «proposta forte, poi anche le correnti interne si adeguano». Il segretario dem incassa con fair play («Prodi va sempre ascoltato, sono un grande fan di quello che dice e delle sue riflessioni»), ma il rimbrotto brucia. I più maligni dicono che al Professore non sia piaciuta l'insistenza del leader Pd, in questi mesi, sul Mattarella bis, che lo ha tagliato - anche simbolicamente - fuori dalla corsa per il Colle.
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I più cinici dicono che «tanto Letta controllerà pochi voti Pd nella partita del Colle, quindi non ha bisogno di lisciargli il pelo». I più politici spiegano che Prodi, nonostante l'autobiografia celebrativa appena data alle stampe, non si fa più alcuna illusione di avere chance per il Colle, ma ci tiene ancora a «contare in politica», e - forte di un buon rapporto col dominus della politica italiana, ossia Mario Draghi, non si fa scrupolo a dar lezioni a partiti e partitini. Anche con i Cinque stelle, serbatoio importante di voti quirinalizi, non è tenero: l'alleanza con loro va fatta, ma solo per ragioni di necessità: «Il pane si fa con la farina che si ha. Anche io ho fatto alleanze con la fatica di farle».
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Con il centrodestra Prodi è sarcastico: «Alle Amministrative sembra quasi che vogliano proprio perdere. Ci sono divaricazioni crescenti nel Carroccio e linee diverse nel centrodestra, ed è questo che ha reso così difficile trovare delle candidature concorrenziali nelle realtà in cui si vota». L'elettorato della Lega, spiega «è più vasto e diversificato di quello nostalgico di Fdi. E l'essere parte del governo Draghi ha fatto emergere le posizioni interne diverse. Ma quando uno è al governo deve governare, e le decisioni sono diverse dalle intenzioni».
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Quanto a Forza Italia, secondo Prodi «bisogna vedere cosa farà Berlusconi: il partito, dal punto di vista della organizzazione e della adesione popolare, dipende tutto da lui. Non so dove voglia guidarlo. Fino ad ora verso una destra prudente, ma non è che riesca ad avere un ruolo molto forte verso la destra imprudente». E racconta, con una punta di veleno: «Kohl lo odiava, ma mi disse: lo voglio nel Ppe, per trascinarlo su una linea europeista».
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