1 - VERSO L'INTESA SUL PETROLIO ORBAN SALVA L'OLEODOTTO E DARÀ L'OK ALLE SANZIONI
Gabriele Rosana per “il Messaggero”
ORBAN VON DER LEYEN
Salvare il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia escludendo (temporaneamente) dal suo campo di applicazione le forniture di greggio via oleodotto, pari a quasi un terzo del totale che arriva in Europa. È la soluzione di compromesso escogitata dall'Ue, insieme a un bottino di aiuti contenuti nel piano RePowerEU per modernizzare l'industria petrolifera nazionale, per superare il no dell'Ungheria di Viktor Orbán che ha finora bloccato lo stop all'oro nero russo a partire da fine anno. E arrivare così non a mani vuote, ma perlomeno con un'intesa dimezzata, al Vertice dei leader che inizia domani pomeriggio a Bruxelles.
putin orban
L'IPOTESI
Sull'ipotesi stanno lavorando in queste ore i tecnici della Commissione e gli sherpa dei governi, dopo gli incontri per gruppi ristretti di Stati membri di venerdì. Ancora un fine settimana di negoziati per trovare la quadra, insomma, con i rappresentanti permanenti dei Ventisette che tornano a riunirsi oggi per preparare gli ultimi dettagli in vista del summit, insieme al testo di massima delle conclusioni su cui negozieranno i capi di Stato e di governo, mentre l'esecutivo Ue ha abbozzato una nuova bozza del lotto di restrizioni.
ORBAN VON DER LEYEN
L'ennesima, a quasi un mese esatto da quando Ursula von der Leyen aveva presentato nel dettaglio il sesto pacchetto di sanzioni, per cui serve l'unanimità dei Ventisette. «Non sarà facile», aveva ammesso allora la presidente della Commissione; una profezia che si è avverata nel lungo tira-e-molla di maggio, con l'Ungheria dipendente dai flussi attraverso l'oleodotto di epoca sovietica Druzhba che si è finora opposta al via libera, citando timori «per la sicurezza energetica nazionale», visto che il Paese non ha sbocco sul mare e non può ricevere i carichi via nave.
vladimir putin viktor orban 3
Certo, il compromesso è sensibilmente al ribasso rispetto alla proposta iniziale, che ha via via perso parte del suo smalto. Nella versione originale, ad esempio, includeva anche il divieto per le compagnie di navigazione Ue di trasportare il petrolio russo verso Paesi terzi, nel frattempo saltato su pressione in particolare della Grecia. Negli ultimi giorni, tuttavia, il lavoro diplomatico è ripreso a pieno ritmo, nonostante la richiesta di Budapest di sottrarre il tema dalle discussioni del Vertice e lo scetticismo di von der Leyen, che da Davos aveva escluso la prospettiva di un accordo politico ad alto livello.
OLEODOTTO DRUZHBA
La carta della realpolitik e la determinazione a mettere a segno un punto a favore di Bruxelles, però, potrebbero adesso prevalere. Nel 2021, la Russia aveva inviato circa 720mila barili al giorno di greggio attraverso l'oleodotto Druzhba, valori sensibilmente inferiori al milione e mezzo di barili al giorno in arrivo invece via petroliera nei porti del Baltico, del Mar Nero e dell'Artico, e che giustificherebbero la sostenibilità politica di rinunciare, per adesso, a colpire le importazioni attraverso l'imponente infrastruttura che attraversa l'Europa centro-orientale per concentrarsi invece soltanto sui carichi via nave, rimpiazzabili più facilmente e senza i necessari interventi di adeguamento degli impianti di raffinazione.
viktor orban ursula von der leyen
E questo perlomeno finché Orbán non avrà ritenuto accettabile il mix di più tempo, con lo stop all'import di greggio russo a partire dal 2025, e aiuti economici messi sul tavolo da Bruxelles: nel piano RePowerEU per accelerare l'indipendenza da Mosca, infatti, la Commissione ha previsto 2 miliardi di euro per potenziare gli oleodotti «in vista dello stop al petrolio russo». Un riferimento non troppo velato alla richiesta di Budapest; i sostegni, tuttavia, sono collegati ai Recovery Plan esistenti, e quello magiaro non è stato ancora approvato a causa del braccio di ferro sullo stato di diritto tra Ue e Orbán. Escludere Druzhba dalle sanzioni interesserebbe però non solo Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, ma pure Polonia, Austria e Germania.
I GASDOTTI VERSO L EUROPA
I PAGAMENTI
Il compromesso punta a mettere in salvo le altre componenti del sesto pacchetto che nulla hanno a che vedere col petrolio, in particolare le nuove restrizioni contro l'élite russa, tra cui il patriarca Kirill, e lo scollegamento di Sberbank e altre due banche dal sistema di messaggistica per i pagamenti internazionali Swift. Fra i negoziatori, però, c'è chi ha quasi perso la pazienza nell'infinita ricerca dell'unanimità che tiene in ostaggio la politica estera Ue. Anche perché - a voler essere pragmatici - per superarla non servirebbe una riforma dell'Ue, ma la volontà di attivare una clausola già prevista dai Trattati. All'unanimità, naturalmente.
VLADIMIR PUTIN
2 - CONFINDUSTRIA: UNO STOP AL GAS RUSSO CI FAREBBE PERDERE DUE PUNTI DI PIL
Giusy Franzese per “il Messaggero”
«Sarebbe uno shock». Con impatti così pesanti sull'economia «già indebolita» da provocare una perdita di due punti di Pil. È lo scenario delineato da Confindustria nel caso di blocco da giugno delle importazioni di gas naturale dalla Russia.
L'associazione degli industriali è così preoccupata che ha dedicato un focus sulla questione all'interno della congiuntura flash di maggio, la quale a sua volta evidenzia «segnali discordanti» sull'andamento del secondo trimestre: da una parte le difficoltà dovute al perdurare della guerra in Ucraina, alla carenza di materie prime, ai rincari delle commodity, ai tassi in rialzo; dall'altra la riduzione dei contagi con ripresa dei consumi e del turismo e buoni risultati sull'occupazione. «Nel complesso, però, l'andamento appare ancora negativo» si legge nella nota.
GASDOTTI RUSSI
E così, in un quadro ancora irto di incertezze, un'eventuale decisione di chiudere i rubinetti del gas proveniente dalla Russia, potrebbe avere effetti devastanti sulla nostra economia. Perché le giacenze di gas sono già a livelli molto bassi e le fonti di offerta alternative, che il governo in questi ultimi due mesi ha cercato di attivare con accordi con altri paesi, saranno solo «gradualmente disponibili entro il prossimo inverno».
Rispetto ai 29 miliardi di metri cubi di gas che ci arrivano dalla Russia, ne riusciremo a compensare 15,5. Fino a marzo 2023 mancherebbero al conto quindi 14 miliardi di metri cubi di gas «ovvero il 18,4% dei consumi italiani». In questo quadro - fa notare Confindustria «i limiti alle temperature imposti di recente per i soli edifici pubblici (-1° in inverno, +1° d'estate, escludendo i privati) non migliorano molto lo scenario».
I SACRIFICI
gazprom
Pur attingendo a piene mani delle riserve strategiche di gas (gli analisti di Confindustria hanno ipotizzato l'utilizzo di 3,8 mmc sui 4,5 disponibili), la situazione resterebbe drastica. In particolare per l'industria che - ricorda il centro studi - dovrebbe essere la prima categoria a subire i razionamenti secondo l'ordine stabilito dal piano di emergenza italiano per il gas (prima l'industria, poi i servizi, a seguire il residenziale, infine il sistema sanitario). «L'industria verrebbe privata di tutta la fornitura di gas di cui necessita (cioè i 9,5 mmc annui consumati finora), mentre i servizi subirebbero una riduzione delle forniture di gas pari a 4,5 mmc (su 7,8)».
gasdotti in europa
Anche solo limitando lo scenario ai settori energivori, i calcoli di Confindustria sono drammatici: «Stimiamo una perdita di valore aggiunto nell'industria pari a 9 miliardi di euro nel periodo di 12 mesi, cui va sommata quella nei servizi pari ad altri 9 miliardi». Il che ridurrebbe il Pil dell'1% tra la primavera 2022 e l'inverno 2023. Mentre nei restanti 9 mesi del 2023, «nei quali potrebbero essere disponibili altre fonti alternative per 6 mmc, la carenza di offerta coinvolgerebbe solo l'industria, con un impatto aggiuntivo di circa -0,4% sul Pil».
Ma a dare un netto colpo di mannaia alla crescita della nostra economia ci sarà anche un altro fattore: i rincari delle commodity energetiche sui mercati internazionali scatenati proprio dallo stop all'import dalla Russia. Il prezzo del gas si stima schizzerebbe a oltre i 200 euro/mwh e il petrolio arriverebbe a quasi 150 dollari/barile, con un effetto pari a -0,2% sul Pil quest' anno e un crollo del 2,2% il prossimo. Giusy