Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
vladimir putin e ramzan kadyrov
«Nel caso di nuovi attacchi terroristici, le nostre risposte saranno dure, e in termini di portata corrisponderanno al livello delle minacce poste alla Russia. Nessuno deve avere dubbi su questo».
La risposta a chi si chiedeva quale sarebbe stata la reazione di Vladimir Putin dopo l'attentato al ponte di Crimea non poteva essere più chiara, purtroppo. Il presidente ha atteso l'inizio della riunione del Consiglio di sicurezza, per commentare quel che tutti già sapevano. «Su suggerimento del ministero della Difesa e secondo il piano di Stato Maggiore, è stato effettuato un massiccio attacco con armi aeree, marittime e terrestri di alta precisione a lungo raggio su energia, comando militare e strutture di comunicazione dell'Ucraina».
Ramzan Kadyrov Vladimir Putin
Lo zar ha parlato poco, ma ha detto molto. «Appare evidente inoltre che i mandanti, gli organizzatori e gli esecutori dell'ultimo attacco sono i servizi speciali ucraini. Il regime di Kiev si pone ormai da tempo allo stesso livello delle formazioni terroristiche internazionali. Ha ucciso esponenti pubblici, giornalisti e studiosi, sia in Ucraina che in Russia. Da otto anni bombarda le città del Donbass».
L'elenco delle accuse comprende la centrale atomica di Zaporizhzhia ma anche quella di Kursk, un tentativo di far saltare il gasdotto Turkish stream, fino all'esplosione del ponte. Secondo molti analisti del Cremlino, si tratta anche del tentativo di ampliare il senso dell'operazione militare speciale, non più missione contro «i nazisti», ma contro «i terroristi», nell'ottica di una vittimizzazione della Russia rivolta più al coinvolgimento della sua gente che al resto del mondo.
Vladimir Putin con Sergei Shoigu
Quel che conta è la realtà dei fatti. Il gesto. Putin ha deciso ancora una volta di alzare la posta. E così facendo ha dato piena soddisfazione all'ala ultranazionalista della società e delle istituzioni russe, che negli ultimi tempi stava facendo forti pressioni sul Cremlino. «Ecco la nostra risposta» ha scritto su Telegram la conduttrice televisiva Margarita Simonyan, che subito dopo l'esplosione sul ponte aveva invece scritto un «E allora?» che era stato giustamente interpretato come un invito alla ritorsione immediata. Tutti i cosiddetti falchi, nessuno escluso, hanno brindato, ognuno a modo suo.
KONSTANTIN MALOFEEV
«Lokh». Uomo da poco, che non vale niente. Ramzan Kadyrov, il presidente ceceno che recitava il ruolo del grande scontento, ha usato questo termine spregiativo per rivolgersi a Volodymyr Zelensky. «Miserabile, di cosa ti lamenti? Ti avevamo avvertito, che la Russia non ha ancora cominciato a fare sul serio. Corri Zelensky, corri, fuggi verso l'Occidente, se ci riesci. Ora sì che sono finalmente soddisfatto della nostra operazione militare speciale». Figurarsi Dmitry Medvedev, per altro vicepresidente del Consiglio di sicurezza chiamato a dare il proprio assenso alle decisioni militari.
«Il primo episodio è andato in scena. Ce ne saranno altri. E altri ancora. Lo Stato ucraino nella sua configurazione di oggi con un regime politico nazista rappresenterà una minaccia costante, diretta e palese alla Russia. Perciò la meta delle nostre future azioni, a mio avviso, dovrà essere l'azzeramento di questo regime politico».
KONSTANTIN MALOFEEV
Un intero pezzo della società e dell'apparato rialza la testa dopo tanti mugugni e trame virtuali, sfociati nella richiesta esplicita di un cambio ai vertici del ministero della Difesa, che Putin continua a giudicare irricevibile. Il cosiddetto oligarca di Dio Konstantin Malofeev, fondatore e proprietario del canale Tsargrad, che era diventato la centrale operativa delle lamentele verso il Cremlino, ha scritto: «Ora finalmente cambiano le regole del gioco». Con tante sfumature diverse. Ma ieri per il partito russo della guerra totale è stato un giorno di festa.