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    RASSEGNATEVI, NON SI PUÒ PIACERE A TUTTI (PER FORTUNA) – IL DESIDERIO DI SENTIRSI BENVOLUTI E LA SPASMODICA RICERCA DI RICONOSCIMENTO SOCIALE POSSONO FARCI PERDERE NOI STESSI: SI HA PAURA DEL RIFIUTO, FINENDO PER VIVERE IN BASE ALLE ASPETTATIVE DEGLI ALTRI E PERDENDO IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA DARE E RICEVERE – LA PSICOLOGA ROBERTA MILANESE: “NELLA VERSIONE PIÙ ESTREMA SI FINISCE LETTERALMENTE PER PROSTITUIRSI E…” – COME SUPERARE IL TERRORE DEL RIFIUTO


     
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    Veronica Mazza per “La Stampa”

     

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     Dalla ricerca spasmodica dei like e dei follower sui social, al bisogno incontrollato di avere sempre l'approvazione degli altri, nella sfera privata e nel lavoro. Tutti l'abbiamo vissuto, almeno una volta nella vita, questo desiderio di sentirsi accettati, amati e benvoluti dagli altri, per avere la loro considerazione e, in maniera più ampia, riconoscimento sociale.

     

    È nella natura umana, è normale desiderarlo. Se però la necessità di piacere a tutti e a tutti i costi diventa ricerca incessante di conferme, si trasforma in paura del rifiuto e così si inizia a vivere in base alle aspettative degli altri. Perdendo il giusto equilibrio tra il dare e il ricevere. Nello studio di Roberta Milanese, psicologa e psicoterapeuta, un giorno si è seduta Paola, 39 anni, che pur di stare con Alessio si adatta e si «deforma» in base alle sue esigenze.

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    Ma non è certo l'unica. Milanese spiega: «La paura dell'impopolarità è la paura di fare o dire qualcosa che ci faccia perdere l'approvazione o l'affetto delle persone a cui teniamo. Può riguardare qualunque tipo di relazione, personale, virtuale o professionale».

     

    Come nasce?

    «Generalmente alla base c'è una profonda insicurezza relativa alla propria desiderabilità. La paura è quella per cui se la persona si concedesse di essere sé stessa fino in fondo e non assecondasse sempre i bisogni altrui, gli altri non la vorrebbero, stimerebbero o amerebbero.

     

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    Queste persone finiscono quindi per essere abili nel tessere relazioni che in apparenza funzionano bene, ma che comportano per loro una grande fatica e la paura di non poter mai mollare, pena il rischio di impopolarità o abbandono».

     

    Uomini e donne si comportano in maniera diversa?

    «Nelle donne questa paura si riscontra più frequentemente nella vita affettiva. E quando si tratta dei partner il copione risulta particolarmente fallimentare perché determina uno sbilanciamento eccessivo del rapporto.

     

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    Mettendo l'altro sempre al centro, infatti, la persona finisce per vivere con il continuo timore di essere lasciata o non amata nel caso in cui facesse valere i propri bisogni. Nei casi peggiori, impedisce la costruzione di un vero rapporto di coppia, dal momento che questa iper-disponibilità risulta poco attraente agli occhi del candidato partner.

     

    Negli uomini la paura dell'impopolarità si registra soprattutto in ambito professionale, dove si manifesta con il timore di prendere decisioni che possano far perdere il consenso o l'approvazione. Le decisioni rischiose vengono quindi evitate o delegate ad altri, in modo tale da mantenere intatta la propria popolarità».

     

    Quanto i social possono alimentare questo timore?

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    «La ricerca di popolarità è un gioco che viene facile, in ambito virtuale: si posta la foto della spiaggia più bella, della silhouette più in forma, della serata più romantica, dei resort più esclusivi, della famiglia più felice.... In alcuni casi, la popolarità virtuale tampona le difficoltà o addirittura l'incapacità di creare relazioni nella vita reale e, apparentemente, soddisfa il bisogno di approvazione di chi la vive. Ovviamente, fino a quando i follower o i like diminuiscono».

     

    Tra i vari gradi di paura dell'impopolarità, qual è il più diffuso?

    «Parliamo di una versione light di questa paura: la provano persone molto attente alle esigenze degli altri, che si mostrano sempre disponibili anche quando non ricevono analoghe attenzioni. Solitamente finiscono per ritrovarsi in relazioni in cui il loro altruismo patologico crea negli altri una sorta di egoismo insano. Difatti, quanto più le prime sono disponibili a dare sempre e comunque, tanto più gli altri si abituano a prendere senza dare, come se fosse un diritto».

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    Quando questo meccanismo diventa patologico?

    «Nella versione più estrema abbiamo una persona che finisce letteralmente per prostituirsi: intrappolata nel suo bisogno di essere benvoluta, è incapace di dire no a qualsiasi tipo di richiesta, fino ad arrivare a perdere di vista sé stessa o fare cose per lei sgradevoli.

     

    A volte questo copione da prostituta relazionale si irrigidisce così tanto da rendere la persona poco desiderabile agli occhi altrui, specie nelle relazioni sentimentali. In altri casi questa persona ha una vita ricca di relazioni, ma quando realizza che gli altri la vogliono solo per quello che fa e non per quello che è, finisce per scoprirsi sola. In entrambi i casi la sofferenza può divenire così acuta da portare a disturbi depressivi, anche severi».

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    Quali sono gli errori più comuni commessi da chi è ossessionato dal piacere agli altri?

    «Si tende ad assecondare e compiacere gli altri, anticipandone i desideri e i bisogni, incapace di dire no alle richieste. Inoltre, si evita di dire o fare cose che teme che gli altri non approvino. Sul momento queste finte soluzioni danno alla persona l'illusione di gestire bene la propria paura e le proprie relazioni mentre in realtà non fanno che aumentare sempre di più la sua insicurezza, perché continua a pensare che gli altri l'apprezzino solo se fa le cose giuste».

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    Come superare la paura dell'impopolarità?

    «Due regole. La prima, non si può piacere a tutti. Cercare di ottenere questo obiettivo significa rinunciare a sé stessi in nome di un'illusoria approvazione, che peraltro non arriverà mai. La seconda, le relazioni sono come un ballo di coppia: è importante fare un primo passo, dando un segnale di interesse e apertura ma, una volta iniziata la relazione, questa deve proseguire con una sana reciprocità, un giusto equilibrio tra il dare e il ricevere. Come nel tango, si balla in due e ognuno deve fare i suoi passi, in sintonia con quelli dell'altro».

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    Dal punto di vista pratico?

    «Correre ogni giorno il piccolo rischio di mostrare sé stessi agli altri. Si può esprimere un'opinione, avanzare una richiesta e poi verificarne gli effetti. Scopriremo che questo non ci condanna inesorabilmente al giudizio o abbandono da parte degli altri, anzi, spesso accresce la nostra desiderabilità e la stima che gli altri hanno di noi. Il secondo passo è imparare a dire piccoli no. Si possono usare modi morbidi (tipo: scusa, vorrei ma non posso) e poi risposte più decise: scusa, vorrei ma ho una cosa più importante da fare o, infine, scusa, non mi va, passo finale della meravigliosa scoperta di poter essere voluti e amati per quello che siamo. O, parafrasando Victor Hugo, a dispetto di quello che siamo»

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