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AVETE LA PRESSIONE ALTA E VI PREOCCUPATE DELL’INFARTO? SAPPIATE CHE DOVETE TENERE D’OCCHIO ANCHE IL CERVELLO – UNA RICERCA DEL "NATIONAL INSTITUTE OF AGING" DI BALTIMORA DIMOSTRA CHE VIVERE PER VENTI O TRENT’ANNI CON LA PRESSIONE ARTERIOSA ELEVATA INFLUISCE SUL VOLUME DELLA MATERIA BIANCA, CIOÈ LA PARTE CHE CONTIENE LE FIBRE NERVOSE: NON A CASO LA CORRELAZIONE FRA DEMENZE E IPERTENSIONE È FORTE – MA LE CONSEGUENZE SONO MOLTEPLICI: QUALI SONO I VALORI GIUSTI E…
Elena Meli per “Salute - Corriere della Sera”
Venti, venticinque, perfino trent' anni passati con la pressione del sangue alta. Magari all'inizio è solo al limite, ma pian piano sale, spesso senza che lo si sappia o che vi si ponga un argine con le terapie. Dopo tre decenni trascorsi con i vasi sanguigni sotto pressione, però, il cervello non è più lo stesso: la materia bianca, cioè la parte che contiene le fibre nervose, ha un volume anomalo e il flusso sanguigno al suo interno è ridotto. Lo hanno dimostrato ricercatori statunitensi del National Institute of Aging di Baltimora, dopo aver seguito dal 1985 al 2016 oltre 800 persone fra i 18 e i 30: in questo tempo i partecipanti sono stati visitati fino a 8 volte registrando la loro pressione arteriosa, poi nell'ultimo controllo, a 25 o a 30 anni dall'ingresso nello studio, sono stati sottoposti anche a una risonanza magnetica del cervello.
I dati raccolti, pubblicati su Jama Network Open , mostrano che avere per decenni una pressione arteriosa moderata o elevata cambia il cervello, specialmente se negli anni la tendenza è al rialzo; un bel guaio perché, secondo gli autori, i cinquanta-sessantenni che al termine dell'indagine hanno registrato un volume di materia bianca anomalo hanno anche un maggior rischio di andare incontro a disturbi cognitivi. Chi ha seguito le terapie antipertensive se l'è cavata un pochino meglio, perché pur ritrovandosi con un volume di materia bianca irregolare non ha mostrato alterazioni nel flusso di sangue cerebrale, elemento che fa sperare di poter evitare almeno in parte deficit cognitivi nella terza età; di certo però lasciare la pressione alta «a briglia sciolta» un anno dietro l'altro fa decisamente male al cervello.
La spada di Damocle della demenza potrebbe rivelarsi la chiave giusta per convincere anche i più restii a misurarsi la pressione e prendere le contromisure per tenerla sotto controllo perché, come osserva Claudio Borghi, direttore del Centro Ipertensione del Policlinico Universitario S.Orsola di Bologna, «Le persone più di tutto temono i deficit cognitivi, perché sanno che poi la qualità di vita non sarà più la stessa e potrebbero perdere l'autonomia.
Un'eventualità terrorizzante: quando scoprono di essere ipertesi, la prima domanda di molti pazienti è "dottore, mi verrà l'Alzheimer?". La correlazione fra demenze e ipertensione è forte, è stata finalmente compresa e può essere un grosso incentivo a monitorarsi e curarsi. L'infarto, per esempio, è anch' esso molto più probabile negli ipertesi ma fa un po' meno paura proprio perché si pensa che intercettandolo in tempo si possa risolvere, riaprendo le coronarie con gli stent, e che poi la vita possa continuare quasi come prima; con i deficit cognitivi di certo non succede».
La pressione alta tuttavia non danneggia solo il cervello e il cuore: tutte le arterie perdono elasticità e si induriscono, tutti gli organi ne risentono e sale anche il rischio di disfunzioni renali e di lesioni alla retina. Con l'età per esempio l'attività di filtro dei reni fisiologicamente peggiora, in chiunque, ma in caso di ipertensione la velocità con cui si perdono questi organi raddoppia. Ecco perché gli specialisti insistono sull'importanza di monitorare il danno d'organo in chi ha scoperto di avere la pressione alta. «Occorre farlo con regolarità in chi è iperteso ma anche nelle persone con pre-ipertensione, specialmente se giovani: quando la pressione supera i 135/85 mmHg è già opportuno iniziare a valutarne gli effetti sui principali organi bersaglio, ripetendo i test una volta all'anno se qualcosa non va o se l'entità dell'ipertensione è considerevole.
Negli altri casi si può lasciar passare un po' più tempo fra un controllo e l'altro», interviene Guido Grassi, docente di medicina interna dell'Università di Milano Bicocca e presidente della Società Italiana dell'Ipertensione Arteriosa (Siia). «Gli esami da fare sono semplici: si tratta di misurare con un'analisi del sangue elementi indicativi della funzione renale, come l'azotemia e la creatininemia, e parametri che mostrano se e quanto sia alterato il profilo metabolico complessivo, come la glicemia, il colesterolo, l'insulinemia.
Un'analisi delle urine è utile per valutare la microalbuminuria (cioè la presenza della proteina albumina nell'urina, che indica un allentamento della capacità di filtro dei reni tale da lasciar passare ciò che andrebbe trattenuto, ndr ). Infine, è bene sottoporsi a un'ecocardiografia con la misurazione dello spessore delle pareti cardiache e a un ecodoppler delle carotidi, le arterie del collo che portano il sangue al cervello».
Questi due test servono a capire come sta il cuore, perché se le pareti sono spesse significa che l'organo fa troppa fatica a pompare il sangue in circolo, e a stimare il rischio di ictus, un'altra conseguenza frequente dell'ipertensione il cui pericolo sale se le carotidi sono parzialmente occluse e/o irrigidite. Resta però il fatto che spesso tutto questo non si fa perché non si sa di essere ipertesi: «La consapevolezza è cresciuta ma si stima che un terzo dei pazienti non sappia di esserlo», dice Grassi. «Gli adulti dovrebbero misurare la pressione una volta all'anno, in farmacia o dal medico di famiglia che può tenere traccia dei valori nella cartella clinica.
Oggi ci sono molti strumenti per monitorarla da soli, a casa: sono utili per chi ha già una diagnosi e deve valutare l'effetto della terapia o negli anziani, ma bisogna scegliere dispositivi automatici o semi-automatici approvati dalle società scientifiche; inoltre una volta all'anno o ogni 18 mesi vanno controllati in farmacia, perché si starano. La misurazione però non deve diventare una malattia, non serve farla di continuo».
Almeno una volta all'anno tuttavia è doveroso, perché come dice Borghi «La pressione alta non dà sintomi, è possibile avere valori pericolosi stando benissimo: non controllarla è rischioso». «Per capire se c'è la probabilità consistente di diventare ipertesi può servire misurare la frequenza cardiaca: se il cuore fa più di 80/85 battiti al minuto, il rischio cardiovascolare e quello di ipertensione è maggiore ed è il caso di misurare più spesso la pressione», conclude Grassi.
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