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IL VINO DEALCOLATO È UNA CAGATA PAZZESCA – CRISTIANA LAURO SPIEGA IL FENOMENO DEI VINI A CUI VIENE RIMOSSO L’ALCOL DOPO LA FERMENTAZIONE: “CHIAMARLI ‘ANALCOLICI’ È UN ERRORE, PENSARE CHE SIANO SOSTENIBILI UN’ILLUSIONE E SPERARE CHE SIANO ALLA PORTATA DI TUTTI, UNA DISTORSIONE. I VINI DEALCOLATI SONO UNA RISPOSTA INDUSTRIALE A UNA DOMANDA GLOBALE, SPINTA DA NUOVE SENSIBILITÀ E MODE SALUTISTICHE. MA SONO ANCHE L’OPPOSTO DI TUTTO CIÒ CHE IL MONDO DEL VINO ARTIGIANALE HA COSTRUITO NEGLI ULTIMI TRENT’ANNI: RADICAMENTO, IDENTITÀ, PROCESSI SEMPLICI, MANUALI E TRASPARENTI...” – VIDEO
GUARDA QUI IL VIDEO DI CRISTIANA LAURO SUI VINI DEALCOLATI
Estratto dell’articolo di Cristiana Lauro per www.ilsole24ore.com
Nel mondo del vino, ancorato a tradizioni, terroir e gesti antichi, l’ultima moda sposa solo il laboratorio e la tecnologia che dealcolizza. Si chiama vino dealcolato ed è - nella sostanza - un vino a cui l’alcol viene rimosso dopo la fermentazione. Attenzione però: non è un analcolico (termine che da ultimo si sporge senza la minima cautela).
È un vino che ha avuto alcol, ma poi è stato letteralmente “svuotato”. Un’operazione tecnologica complessa e costosa, accessibile solo alle grandi aziende dotate di impianti industriali avanzati […]
[…] Per dealcolizzare il vino si possono usare tre tecniche: la distillazione, l’osmosi inversa e l’evaporazione sotto vuoto.
La distillazione prevede una prima fase nella quale il vino passa in una colonna di distillazione alla temperatura di 30 gradi che permette di estrarre con delicatezza dei composti molto volatili. In una seconda fase si ripete la stessa procedura per la rimozione della parte alcolica (l’utilizzo di questa tecnica fa sì che alcuni composti aromatici evaporino insieme all’alcol).
Con l’osmosi inversa invece si utilizzano membrane sottilissime che filtrano a pressioni elevate i composti aromatici e fenolici. Successivamente si elimina l’alcol dal vino attraverso la distillazione e la quantità di acqua ottenuta attraverso questa tecnica viene nuovamente aggiunta al vino al fine di abbassare la componente alcolica.
Qualcuno direbbe: “questo vino è un po’ annacquato”, ma al di là della facezia tenete conto che, oltretutto, l’etanolo estratto dal vino non può essere riutilizzato in quanto troppo diluito in acqua.
Venendo, infine, all’ultima tecnica, l’alcol viene fatto evaporare in ambiente sottovuoto attraverso dei “coni rotanti”. La temperatura di evaporazione dell’alcol etilico è inferiore rispetto a quella dell’acqua e, inoltre, l’ambiente sottovuoto abbassa la temperatura di evaporazione a circa 20 gradi, cosa che permette di eliminare l’alcol ma non l’acqua. Con questo sistema però solo una parte del vino viene totalmente dealcolizzata per contenere la perdita delle componenti aromatiche.
Spiegate, per quanto possibile, le varie tecniche, non dimentichiamoci che una delle promesse di chi produce vini dealcolati è che il gusto rimanga per lo più inalterato. Ma com’è possibile, mi chiedo, se si va a rimuovere uno degli elementi portanti – l’alcol – che agisce da vettore aromatico e modifica la percezione gustativa?
E infatti entra in campo l’aggiunta di “aromi naturali”. Una dicitura apparentemente rassicurante, ma che andrebbe indagata con attenzione: da dove arrivano questi aromi? Come vengono ottenuti? E soprattutto, lasciatemelo dire: possiamo ancora parlare di vino? La risposta, probabilmente, è no! Perché il prodotto che ne risulta è una bevanda a base di vino, riadattata, ricostruita, trattata. Un compromesso spinto dal mercato, forse, ma ben distante dal concetto di naturalità che tanto va di moda.
Che poi, vedendola con ironia, ma tutto questo alcol rimosso dove va a finire? Forse nei famosi gel disinfettanti che dopo il Covid non usa più nessuno e sono spariti anche dai dispenser degli aeroporti e dalle strutture sanitarie.
Arriviamo ora a parlare di quello che forse è il punto più critico, spesso eluso nella comunicazione promozionale di questi prodotti: la sostenibilità. A parole i vini dealcolati sono una risposta alla domanda del consumatore, una scelta più salutare, una bevanda moderna ma, a conti fatti, il processo produttivo richiede un dispendio energetico importante, impianti sofisticati, trasporti e via dicendo. Alla faccia del vino cosiddetto naturale e della sostenibilità!
Ma non basta: l’intero comparto dei piccoli produttori artigianali a questo punto è tagliato fuori non potendosi permettere un impianto a coni rotanti o un sistema a osmosi inversa. Se mai volessero tentare la via della dealcolizzazione – per ragioni commerciali, marketing o mercati esteri – dovrebbero affidarsi a centri di servizio esterni, snaturando così la filiera corta e il controllo diretto sul prodotto (altro fattore che mina alle basi l’identità del vino come espressione territoriale, di cui tanto abbiamo parlato in precedenza).
Per concludere. Chiamarli “analcolici” è un errore, pensare che siano sostenibili un’illusione e sperare che siano alla portata di tutti, una distorsione. I vini dealcolati sono una risposta industriale a una domanda globale, spinta da nuove sensibilità e mode salutistiche.
Ma sono anche l’opposto di tutto ciò che il mondo del vino artigianale ha costruito negli ultimi trent’anni: radicamento, identità, processi semplici, manuali e trasparenti. E magari, la prossima volta che qualcuno vi offre un vino senza alcol ricordate, prima di berlo, che avete davanti il risultato di un intervento intensivo, una specie di lifting… pure mal riuscito!
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