1. «IL MINISTRO STIA AI PATTI GIUSTIZIA, M5S SIA LEALE»
Mario Ajello per ''il Messaggero''
giulia bongiorno giovanni tria matteo salvini
«Su Alitalia sono assolutamente d' accordo con Di Maio e con l' ingresso del Tesoro nella compagnia aerea. Non possiamo far comprare Alitalia dal primo straniero che passa». Matteo Salvini è in giro per le valli e per i borghi del Trentino. Il solito bagno di folla, tra bicchierate e risotti in una terra che fu Di De Gasperi ma ora è innamorata del Capitano, e la Lega sta per espugnarla: «I compagni - dice il capo leghista - che qui hanno sempre comandato domenica prossima dopo l' apertura delle urne faranno i bagagli finalmente».
Questo lo dice dal palco. Di Alitalia e dei problemi con il ministro Tria parla invece tra una tappa e l' altra, in mezzo ai selfie e al saliscendi dall' auto si queste montagne. Ecco, «la soluzione Di Maio mi sembra una buona soluzione», confida, e il matrimonio tra Alitalia e Ferrovie è una via percorribilissima, se ci si riesce».
Quindi sbaglia Tria a mettersi di traverso e a chiamare fuori il Mef da questa operazione? «Tria deve fare quello che dice il Contratto di governo. Lo deve rispettare lui come lo rispettiamo noi tutti», taglia corto Salvini. Nello scontro tra il ministro tecnico e il vicepremier grillino, il capo leghista prende una posizione netta.
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
E incalza il leader del Carroccio: «Nel Contratto c' è scritto, a chiare lettere, che ci impegniamo con tutta la nostra determinazione per il rilancio di Alitalia. Se remiamo tutti nella stessa direzione anche su questo, riusciamo a cambiare l' Italia come abbiamo promesso ai cittadini e loro si sono fidati di noi. Non vanno delusi, anche perché le nostre ricette, comprese quelle sulla compagnia aerea, non saranno tutte perfette ma secondo me sono le più adatte e noi ci crediamo».
Il problema è che Tria non sembra affatto di questo avviso. Dunque farebbe meglio a dimettersi e si andrà verso un rimpasto? «Macché. Non sto dicendo questo. Dico soltanto che la linea è tracciata e Tria oltre ad essere un ottimo economista è persona duttile e capace. Non vedo grandi ostacoli. Questa su Alitalia, per un Paese come il nostro, che vive di turismo, che ha una forza commerciale e una centralità in tutti i flussi internazionali, è un' operazione strategica. E comunque, su questo e su altro, noi andiamo avanti».
Un cammino che però piuttosto accidentato sta diventando. E se Salvini su Alitalia fa blocco con Di Maio, sulla legittima difesa, e sui dubbi che M5S sta opponendo a questa legge, sembra lontano anni luce dal collega pentastellato.
Salendo sul palco nella piazza di un micro paesino a pochi chilometri da Trento, il nome è Borghetto, indugia un attimo il capo lumbard: «Qualche alleato fa un po' il difficile cercando inutili cavilli».
DI MAIO SULL AEREO PER PECHINO
Poi aggiunge: «Guardi, possono presentare tutti gli emendamenti che vogliono sulla legittima difesa ma io dico agli amici 5 stelle e a tutti gli altri che ci sono dei paletti che non possono essere rimossi o superati. Questa legge che difende le persone nelle proprie case e nella propria tranquillità resterà tale e quale come l' abbiamo concepita e questo vale anche per il decreto sicurezza. Quelle sono dighe che abbiamo stabilito dall' inizio, che sono state condivise e messe nero su bianco nel Contratto. Confido nella stessa lealtà, da parte dei nostri partner di governo, che usiamo noi e non credo che vogliano disattendere gli accordi».
E via con un altro tragitto in auto, un altro comizio, una nuova tappa, con un risotto alla carne di maiale in corpo - consumato a pranzo - e la cena che si avvicina.
La lealtà, le problematicità. Quelle legate alla manovra economica.
Che anche qui, e non solo qui, da parte di imprese e di artigiani, viene considerata sbilanciata a tutto vantaggio dei 5 stelle. Un po' di assistenzialismo di troppo, no...?
Questo è un rilievo che Salvini crede di poter smontare facilmente e lo fa così. «Il reddito di cittadinanza - spiega - è una priorità dei 5 stelle e io rispetto i patti.
Ma abbiamo imposto dei limiti a questo provvedimento, rendendolo più compatibile, perché siamo a favore delle imprese e della crescita. E vorrei ricordare che nella manovra ci sono anche la detassazione degli utili reinvestiti, la flat tax per le partite Iva e con Tria abbiamo messo 15 miliardi per gli investimenti. E il superamento della Fornero resta un punto fermo, un chiodo non eliminabile. Inutile discutere più di questo. Sono stato eletto per smontare questa legge ingiusta e lo farò».
ANZIANA PISTOLA LEGITTIMA DIFESA
Il mantra di Matteo è «andare diritti, drittissimi». Anche sul decreto fiscale, che domani va in Consiglio dei ministri e che i 5 stelle - altra discrepanza, e solito tema: reggerà la lealtà? - vogliono attutire e non far passare come un condono visto che onestà-tà-tà è sempre stato il grido di battaglia grillino e guai deflettere anche su questo. Salvini, in mezzo a tante spine e a questi equilibri sempre più complicati all' interno della compagine di governo, sembra mantenere il suo ottimismo. Della Rai non vuole parlare, se non per dire da un palco: «Abbiamo tutti i giorni tutti contro. Non c' è un tg, un giornale, una radio che non dico esprima giudizi positivi, ma che almeno sia obiettivo».
Quanto a lui, però, nonostante abbia un tutore al polso, perché è inciampato facendo jogging, non si ferma mai. E gli fa sempre compagnia la manovra. «Abbiamo tempo fino a sabato per chiudere», fa notare, «e speriamo di non avere altre sorprese da altri uffici con altri geni dell' economia». I soliti tecnici, un po' cacadubbi un po' forse quinte colonne. «Ma a noi - dice capo lumbard, convinto tra l' altro che in arriverà in Consiglio dei ministri anche la legge sulle autonomie - non ci spaventa nessuno».
2. TRIA: DI TEORIE ASTRUSE NE HO SENTITE ABBASTANZA - IL CARROCCIO È CON LUI
Tommaso Labate per il ''Corriere della Sera''
LEGITTIMA DIFESA
«Per il ministero dell' Economia non esistono piani B, C, D o E. Esiste solo un piano T, dove T sta per Tria. Il professore, da dov' è, non si muove. Ma ci vuole molto a capirlo che quel signore è la soluzione ai nostri problemi e non il problema?». Dicono che, negli ultimi mesi a Palazzo Chigi, fatti di intere giornate trascorse a trovare un punto mediano tra due alleati molto diversi, Giancarlo Giorgetti abbia affinato ancora di più l' arte di fiutare in anticipo le «minacce» in arrivo, che già possedeva dai tempi in cui era il braccio operativo della vecchia Lega di Umberto Bossi.
E così due giorni fa, quando il duello tra Giovanni Tria e Luigi Di Maio sull' ipotesi di far entrare lo Stato nel capitale di Alitalia era lì lì per andare in scena, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha preso di petto la situazione e ha fissato, insieme a Matteo Salvini, le colonne d' Ercole oltre le quali la Lega non può spingersi.
C' è un limite, hanno convenuto i due. C' è un confine.
E quel confine, adesso, è proprio Tria. Per la Lega, adesso, quel ministro è diventato intoccabile proprio perché è un argine a tutte le istanze del Movimento Cinque Stelle - a cominciare dall' ondata di nazionalizzazioni annunciate - che andrebbero a intaccare il rapporto di fiducia tra Salvini e quel pezzo di tessuto produttivo che gli ha aperto una linea (politica, s' intende) di credito. A cominciare dagli industriali.
Tria, dal canto suo, è amareggiato. Raccontano che nelle ultime ore la voglia di dimettersi non si sia placata, che il testa a testa continuo con Di Maio l' abbia sfibrato.
salvini giorgetti
E non tanto, o non solo, per le questioni «alte», quelle che riguardano i numeri della manovra, l' Europa, il deficit. Quanto, è stato il ragionamento opposto a tutti quelli che gli hanno chiesto conto delle sue prossime mosse, perché «io sono un professore, le cose prima di insegnarle le ho studiate, e quindi arrivo a poter ascoltare un numero limitato di teorie e soluzioni astruse, oltre non posso andare».
A quel punto è entrato in scena Salvini. Che, insieme a Giorgetti, ha garantito al titolare dell' Economia che, senza di lui, andare avanti nell' avventura di governo sarebbe difficile anche per la Lega. Un tempo si sarebbe definita «una blindatura», e a fior di ministri in bilico sarebbe bastata. Adesso no, queste garanzie valgono ancora ma molto di meno, soprattutto nei dintorni del ministero di via XX settembre. Soprattutto dopo le dimissioni dalla Consob di Mario Nava, che nonostante avesse l' appoggio del leghista sottosegretario alla presidenza del Consiglio, alla fine non ha trovato altra strada che le dimissioni.
Dal caso Consob a oggi è passato un mese esatto.
Dentro e fuori da Palazzo Chigi, si misurano le ambizioni di chi, a ragione o a torto, si è convinto che il testa a testa tra Di Maio e Tria possa finire con l' uscita di scena di quest' ultimo.
PAOLO SAVONA
A cominciare da Paolo Savona, i cui toni soft su euro («Non usciremo») e spread («Se sale ancora, dovremo cambiare la manovra»), sono stati letti come una specie di ri-candidatura al ministero dell' Economia. Ecco, tutti questi movimenti, tutte queste oscillazioni, da oggi, hanno un ostacolo in più.
Ed è la Lega, che ha deciso di blindare Tria anche oltre quanto non appaia nelle dichiarazioni pubbliche. D' altronde, come sussurra un esponente leghista di governo, «non ci vuole molto a fare due più due. Se volessimo vedere l' effetto che fa lo spread a quota 400, basta chiedere a Tria di dimettersi.
E lì sarebbero guai per tutti». Per oggi, al Professore, queste garanzie bastano.
Domani, però, è un altro giorno.