Giuseppe Remuzzi per il “Corriere della Sera”
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Me l' hanno chiesto in tanti, domande dettate dal buonsenso fatte da persone attente e con un certo spirito critico: «Perché sono così pochi i pazienti di colore al pronto soccorso?».
«E i neri che si ricoverano? E quelli in terapia intensiva?». A dire il vero infermieri e medici questa domanda se l' erano già posta, prima tra sé e sé e poi hanno cominciato a fare un po' di conti. Siamo poco più di un milione in provincia di Bergamo e i neri sono circa il 9%, ma i ricoverati per Covid a Bergamo sono stati solo l' 1,6%. Perché? Forse perché sono più giovani?
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Giusto. Ma non basta. Non sarà che i neri appena arrivano qua fanno il vaccino per la tubercolosi? La cosa, che sulle prime sembrava senza basi scientifiche, non è poi così campata per aria, al punto che l' Organizzazione mondiale della Sanità ha cominciato a chiedersi se il vaccino per la tubercolosi - Bcg come viene chiamato - riduca il rischio di infettarsi con coronavirus e ad avviare studi che lo possano dimostrare in quanto, fino a questo momento, loro stessi in una recentissima nota sottolineano che non vi siano prove a sostegno di questa possibilità.
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Quel vaccino stimola il sistema immunitario ed è possibile che lo aiuti a difendersi meglio anche da altri tipi di infezioni, batteriche ma anche eventualmente virali. È proprio per questo che in Australia hanno avviato uno studio che si propone di chiarire proprio questo aspetto, vi prenderanno parte 4.000 fra medici, infermieri e altri operatori della salute; una ricerca molto simile la stanno facendo anche in Olanda e presto cominceranno anche a Boston. Fra l' altro è ben noto che in Africa i bambini trattati con il vaccino anti-tubercolare sono protetti non solo dalla tubercolosi ma anche da altre infezioni.
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Quando ci saranno i risultati di tutti questi studi - e non passerà tanto tempo - sapremo se davvero i neri qui da noi non si ammalano per via del vaccino anti-tubercolare. Sarà fondamentale perché, secondo il Lancet , l' epicentro della pandemia di Covid-19 adesso si sta spostando in America Latina e specialmente in Brasile, dove il presidente Bolsonaro continua a definire il coronavirus un' influenza. E per i poveri di quei Paesi sarà un dramma, tenuto conto che nella maggior parte dell' America Latina ci sono solo poche decine o poche centinaia di ventilatori, i più non hanno accesso all' ossigeno e per quanto non ci siano ancora farmaci sicuramente efficaci per Covid-19, loro di farmaci non ne hanno proprio.
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L' Africa merita un discorso a parte, per fortuna almeno fino a questo momento il numero di persone che si sono ammalate in tutta l' Africa non è altissimo: poco più di 10.000 infettati (anche se di questo non siamo proprio sicuri perché molti non vengono documentati) e 500 morti.
Saranno le alte temperature? È possibile anche questo. Alle temperature più alte la capacità del virus di moltiplicarsi sembra diminuire e poi comunque in Africa il 60% della popolazione ha meno di 25 anni. È possibile che i giovani africani siano un po' come i bambini da noi: si infettano come tutti gli altri ma non si ammalano. Va anche detto che in Africa ci saranno tantissimi casi che non vengono riconosciuti.
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Un' altra possibilità - e forse la più solida - per spiegare la resistenza dei neri all' ammalarsi è che siano diversi sul piano genetico da caucasici e cinesi per molti dei geni che codificano per proteine che hanno a che fare col virus. Sars-CoV2 per entrare nelle nostre cellule ha bisogno delle nostre proteine: una si chiama ACE2 e l' altra TMPRSS2.
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Tutte e due possono essere bloccate da inibitori della proteasi già presenti in clinica, fra l' altro uno di questi - il Camostat mesilato - si usa per il trattamento del tumore del pancreas. Anche se i dati non sono conclusivi è possibile che i neri abbiano varianti nei geni che formano queste due proteine e queste varianti li potrebbero proteggere.
C' è un altro sistema, quello del complemento, che ci difende dall' aggressione di virus e batteri, agisce immediatamente e può distruggere un batterio nel giro di 30 secondi. Una componente di questo sistema - il fattore H - ha una variante particolare negli africani, ce ne siamo accorti studiando certe malattie rare che coinvolgono proprio i geni che codificano per questa proteina.
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Chissà che anche questo non possa avere un ruolo.
Ma la scienza è complicata e quando pensi di aver trovato una soluzione c' è sempre qualcosa che non torna e così si rischia di dover ripartire da capo. Questa volta la sorpresa, completamente inaspettata rispetto a quanto abbiamo scritto all' inizio, viene dal Sud degli Stati Uniti.
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A New Orleans dove c'è un focolaio di contagi proprio come in Lombardia, sono più i neri dei bianchi ricoverati per Covid, e qui il 70% di quelli che muoiono sono afroamericani, un numero molto elevato se si considera che gli afroamericani sono poco più del 30% della popolazione. Lo stesso vale per Georgia e Alabama: gli afroamericani si ammalano di più e hanno manifestazioni più gravi dei bianchi. E così siamo punto a capo. Perché i neri che vivono a Bergamo non si ammalano di Covid-19? Mentre gli afroamericani del Sud degli Stati Uniti si ammalano addirittura di più dei bianchi?
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La ragione precisa non la sappiamo, ma se ritorniamo ai tempi di Lincoln dovremmo finire per concludere che non è stata una buona idea ridurre in schiavitù gli africani e portarli a vivere negli Stati Uniti. Negli ultimi 300 anni li abbiamo resi suscettibili a molte malattie di cui loro nel loro ambiente non soffrivano: ipertensione e malattie del cuore prima di tutto, e poi malattie del rene, diabete e obesità. E anche di Covid negli Stati Uniti se sei nero ti ammali più facilmente.
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È vero (forse) che i neri dell' Africa hanno qualcosa di genetico che li rende relativamente più resistenti a Sars-CoV-2 ma se li porti negli Stati Uniti e li fai vivere da americani acquisiscono gli stessi fattori di rischio degli americani. «Oltre al fatto che i neri muoiono di più anche solo perché il sistema sanitario per loro è il peggiore che si possa immaginare» scriveva l' altro giorno il Washington Post . E allora i neri si ammalano di meno o no?
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La risposta più intelligente alla domanda che ci siamo fatti all' inizio di questa storia l' ha data David Heyman, un infettivologo della School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra. «A questa domanda, per ora, nessuno è in grado di rispondere».
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