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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
DAGOREPORT! LA MILANO CHE CONTAVA PRIMA CHE CONTASSE COLLE OPPIO SI È RADUNATA IERI SERA ALLA SCALA PER L’ANTEPRIMA DEL FILM DI LIVERMORE “THE OPERA. ARIE PER UN’ECLISSI” - I CINEMATOGRAFARI, CHE POCO SANNO DELLE BISBOCCE OPERISTICHE, HANNO PIAZZATO PIERO MARANGHI NELLA FILA DAVANTI AL SOVRINTENDENTE DOMINIQUE MEYER MENTRE PLACIDO DOMINGO SE NE STAVA AL POSTO 1 NEL PALCO UNO DEL PRIMO ORDINE - MAI VISTO PRIMA AL PIERMARINI, SI È PALESATO L’ASPIRANTE SINDACO MAURIZIO LUPI CON LA NUOVA BELLA DAL DÉCOLLETÉ PIÙ GENEROSO CHE MODERATO. IL RESTO È PRESENZIALISMO AMBROSIANO - ASSENTI GIUSTIFICATI FANNY ARDANT E VINCENT CASSEL, A CASA PERCHÉ…
DAGOREPORT
Chiuse le porte sante delle seconde case di Curma e di Cortina, la Milano che contava prima che contasse Colle Oppio si è radunata ieri sera nel suo quartier generale della Scala perché “ghé l’anteprima del film del Livermore da vedere”. Ciuschia: “The Opera. Arie per un’eclissi” è firmato dal regista più amato al Piermarini insieme al Creative director Paolo Gep Cucco, sebbene Gep dopo “La grande bellezza” può essere associato solo a Gambardella quindi, fossi in lui, cambierei il soprannome.
I cinematografari poco sanno delle bisbocce operistiche e hanno piazzato Piero Maranghi nella fila davanti al sovrintendente Dominique Meyer (molto ringraziato) mentre il divino Placido Domingo se ne stava al posto 1 nel palco uno del primo ordine: del resto è il n.1.
Mai visto prima al Piermarini, si è palesato l’aspirante sindaco Maurizio Lupi con la nuova bella dal décolleté più generoso che moderato. Il resto è presenzialismo ambrosiano mischiati ai protagonisti del film: le bellissime Mariam Battistelli e Caterina Murino, con il basso Erwin Schrott un tempo signor Netrebko e Valentino Buzza, l’Orfeo del film. Assenti giustificati Fanny Ardant e Vincent Cassel, a casa perché ha appena avuto un bambino.
L’opera-musical, “Metamorfosi” di Ovidio alla mano, racconta il mito di Orfeo ed Euridice nella nostra contemporaneità e questo canovaccio si serve di celebri arie d’opera, dalle quali escono trionfanti le musiche di Puccini e Purcell. Il film è parente stretto di “Grand Hotel Budapest” di Wes Anderson. Sotto un cielo metafisico il tassista-Caronte Vincent Cassel aspetta che si compia il delitto.
L’inseguimento sfrenato sulle acque dell'Acheronte fino all'Ade (o meglio, fino all'hotel Hades) dà l'inizio all'indomito viaggio di Orfeo. L’inferno, infatti, è una reception di Grand hotel non lastricata di buone intenzioni: il protagonista incontra delle autentiche stronze (tipo Proserpina), ma anche suo padre, toh, voilà, impersonato da Livermore in canotta e pelo in evidenza. Tra incontri con le anime dei suoi cari defunti, il tentativo di seduzione di Proserpina, il cinismo di Atropo e l’indifferenza della concierge, Orfeo capirà la portata del suo amore e si confronterà con il dubbio dei vivi di fronte alla morte.
Nel suo celebre “Inquiry into the Origins of our Ideas of the Sublime and the Beautiful” (1757) Edmund Burke stravolse le categorie estetiche stabilendo che il Sublime fosse un sentimento più alto del Bello perché generato da angoscia, timore, affanno, sconcerto, ignoto… e il film di Livermore emoziona proprio per questo. Spaventa nell’animo.
Alla Scala, Livermore aveva già presentato scenari simile a questi, un po’ alla “Blade Runner”, in “Tosca” e nell’ultima “Turandot”; ma nel film la libertà di esagerare è maggiore, più splatter e più sublime. Piacer figlio d’affanno diceva quello e lo proviamo qui: in attesa dell’eclissi e ci aggrappiamo all’arte come una scialuppa di salvataggio. Alla fine, applausi per tutti, risottino alla milanese veloci: domani “ghé da andare a laurà”.
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