
DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA…
1. ‘ENTRO O RESTO FUORI?’ IL PICCHETTO DI BRUNETTA E I FORZISTI SOTTO CONTROLLO
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”
«Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» (cit. Nanni Moretti nel film «Ecce Bombo») .
Le ultime scene sono davvero piuttosto cinematografiche. L’azione, a Montecitorio, si svolge in due luoghi vicini e distinti: il Transatlantico e l’Aula. C’è chi entra e c’è chi esce. Soprattutto, c’è chi è ancora incerto.
A dieci minuti dal voto finale, i deputati grillini sono già tutti seduti sui divanetti, qualcuno è alla buvette, altri nel cortiletto a fumare. Sono tutti usciti dall’emiciclo, senza indugi (Alessandro Di Battista, quello che prima d’essere eletto stava sulle Ande e che Il Foglio definisce un «mitomane a cinque stelle», parla, per una volta, a bassa voce: «Impossibile partecipare al voto finale. Questo Italicum è una truffa terrificante»). Comunque anche quelli della Lega sono fuori: e adesso arrivano quelli di Sel e di Fratelli d’Italia.
E i parlamentari di Forza Italia?
Brutto affare. Gira voce che i verdiniani vogliano fare uno scherzetto a Renato Brunetta. Brunetta, da settimane, è il capogruppo di un gruppo in macerie: su 69 deputati, gli sono ufficialmente ostili i 18 controllati da Raffaele Fitto e i 17 di Denis Verdini (deputato più, deputato meno). Sono ore che Brunetta cammina avanti e indietro con il piglio che di solito mette su quando è in difficoltà, con un tremore delle labbra che sembra dire ai cronisti: non capite niente di strategie politiche, è perfettamente inutile starvele a spiegare, comunque per pura compassione vi annuncio che ho «ordinato ai miei di non partecipare al voto conclusivo di questa pessima legge elettorale».
Ecco, appunto.
Qualche verdiniano ha però intenzione di ribellarsi, di restare in Aula e votare. Luca D’Alessandro è uno di questi (poi a D’Alessandro però squilla il cellulare: certi dicono che fosse la voce tremenda di Verdini, effettivamente D’Alessandro scosta il cellulare dall’orecchio, deglutisce, la voce gli starebbe urlando di restare seduto, resta seduto dove vuoi, ma non votare, ché se no, nel partito, esplode l’inferno). Saverio Romano, fittiano, dell’inferno se ne infischia: resta seduto e dichiara che voterà, e voterà contro («Su una legge così sbagliata, io ho il dovere di restare al mio posto e seguire la mia coscienza»).
Interno emiciclo.
Laggiù, Romano e D’Alessandro. Poi Francesco Paolo Sisto («Come presidente della commissione Affari costituzionali non posso certo uscire...»). Brunetta ha capito che tira una brutta aria e s’è messo in piedi, all’inizio delle scalette che portano su agli scranni riservati ai forzisti: una specie di picchetto. In cima, c’è il pattuglione di Ncd, ordinatamente pronto a votare insieme ai deputati di Scelta civica, al Gruppo Misto e all’altra metà dell’Aula, dove siede l’esercito del Pd.
Arriva la notizia che alla buvette s’è presentato Vincenzo De Luca (nel Pd non si fanno mancare niente).
Gennaro Migliore (Pd, ex Sel), uno dei relatori della legge, chiede gentilmente di poter ringraziare i colleghi — numerose risate di scherno.
La presidente Laura Boldrini dichiara aperte le votazioni.
Pier Luigi Bersani infila la mano nell’apposita fessura con una smorfia di fastidio (vota contro).
Rosy Bindi china la testa (vota contro).
Meno di un minuto.
Poi, il risultato: 334 voti a favore, 61 contrari, 4 astenuti.
Tutti i deputati, quelli che erano dentro e quelli che erano fuori, in Transatlantico, tornano insieme, chi rientra e chi riesce, e tutti dichiarano qualcosa, molti sono al cellulare, Luca D’Alessandro — circondato da cronisti e portaborse — grida che «uscire dall’aula per FI è stato un errore enorme!» .
E Renato Brunetta?
Qualcuno ha visto Brunetta?
Un commesso: «Se sta a fa’ intervistà dalle tivù...».
A cinque metri, già si sente la sua voce: «È una vittoria di Pirro! Renzi non ha i numeri per le riforme! Al Senato...».
Passa Nunzia De Girolamo. Si ferma. Sorride ironica.
«Per caso vuol sapere come ho votato?».
No, lo immagino.
«E che immagina?».
Lo dica lei...
«Ma io non dico proprio niente... Piuttosto: avete notato la Boschi?».
Perché?
«Ma come perché? Era così contenta, così soddisfatta... e abbracciava e baciava tutti, si baciava tutti che nemmeno Totò Cuffaro ai tempi belli...».
2. IN FORZA ITALIA FALLISCE LA FRONDA, SOLO TRE RESTANO IN AULA
Carmelo Lopapa per “la Repubblica”
Forza Italia è una barca in balia della tempesta e lo resterà per tutto il giorno: deputati che disubbidiscono e restano in aula, altri che escono, Saverio Romano che vota e quelli che alzano le mani per dimostrare che si asterranno sul voto finale all’Italicum. Verdini e Fitto che ordinano di rompere la linea dell’Aventino ordinata da Renato Brunetta, ma alla fine saranno gli sconfitti: perché dall’aula al momento clou escono tutti e restano dentro solo in tre, con il capogruppo che può cantare vittoria: «Siamo stati tutti uniti, adesso Renzi non ha maggioranza al Senato sulle riforme ».
L’atmosfera è sempre più tesa, le due ali (i “ricostruttori” dell’eurodeputato e i fedelissimi del toscano) restano in odor di scissione. Sebbene la loro fronda si sia dileguata. Il caos, insomma. Anche perché nel frattempo Silvio Berlusconi si è tenuto lontano, e non solo fisicamente, dalla partita finale sull’Italicum. «Non mi interessa e lasciate che quelli di Fitto e Verdini facciano quel che vogliono, di loro non mi curo più», è l’unico sfogo al quale il leader si è lasciato andare quando un Brunetta preoccupato e pochi altri dirigenti riescono a raggiungerlo ad Arcore, dove è impegnato nei consueti vertici del lunedì con le aziende, si cura poco o nulla della legge elettorale.
Quasi infastidito dal balletto d’aula dei suoi e comunque del premier che continua a considerare alla stregua di «un dittatorello». La partita del resto la considerava già chiusa. Quando alle 11 Brunetta riunisce il gruppo forzista si presenta solo una ventina di deputati. Aventino obbligato, racconta un ex ministro berlusconiano: «Avevamo votato quella legge al Senato, sarebbe stato imbarazzante votare contro alla Camera». Gli uomini di Verdini e di Fitto non si adeguano. Così, quando si va in aula per votare gli ordini del giorno prima delle dichiarazioni finali, ecco 15-18 che votano come nulla fosse. Lainati e Romano, Parisi e Faenzi, Abrignani e Ciracì, Marotta e Bianconi, Mottola e Palese, Prestigiacomo e Laffranco, D'Alessandro e Parisi, tra gli altri.
Poi, via via, quei deputati escono dall’emiciclo, quasi tutti richiamati da una telefonata, sembra. Resta e vota il fittiano Saverio Romano («Dico no a questa legge e lo faccio come al solito alla luce del sole»), restano ma non votano Rocco Palese e il verdiniano Luca D’Alessandro («Prendo le distanze da una gestione d’aula che non ho condiviso, abbiamo regalato a Renzi la possibilità di dimostrare che può fare a meno anche della minoranza pd»). Gianfranco Rotondi dice di non aver votato solo «per rispetto a Berlusconi: ma resto favorevole a questa legge».
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