mario sconcerti
Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera”
Mancini ha un'alta considerazione di sé e la merita. Non prende le sconfitte per quello che sono, spesso un inciampo. Le prende come una discussione su se stesso, un argomento su cui non ha mai avuto dubbi. È stato abituato a essere un'eccezione, nel tipo di gioco anomalo anche per un numero dieci, morbido ma incisivo, costante, e la sveltezza con cui diventava improvvisamente pratico.
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Ora è come costretto alla normalizzazione, per lui un cambiamento profondo. La «vergogna» del risultato è molto più evidente delle ragioni che lo hanno maturato. Credo che il suo primo desiderio oggi sarebbe scomparire, ma anche questo sarebbe un limite. Il tempo da aspettare per dimostrare che c'è stato un equivoco è indeterminato. È questo non poter guidare bene il proprio destino a farlo soffrire. Non dipendere come sempre dal proprio talento, ma da qualcosa che lo costringe ad aspettare.
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La certezza che per molti anni non si potrà fare niente. Credo si senta un genio intaccato che non riesce più a illuminare la lampada. È vero che tutto è utile, anche saper perdere, ma è una sensazione di misura che Mancini poche volte ha avuto. Si spiega così la sua frenesia di ricerca, le ondate di nuovi giocatori che s' inventa ogni volta. Sembrano esperimenti da ago nel pagliaio, come scambiare la magrezza per opportunità. Difficilmente è così, spesso più che la costruzione si migliora la confusione.
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Ma oggi tutto è un suo diritto proprio perché i doveri sono finiti. Scuotere l'albero gli dà almeno la sensazione che la terra sia buona. Mancini ha bisogno di giocatori e in parte li ha. Se si cercano amichevoli inutili si ottengono risultati inutili. Ma l'Italia, anche oggi, se fosse al Mondiale, passerebbe il turno in qualunque girone.
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Credo che Mancini debba andare in cerca soprattutto della fiducia in se stesso, la differenza dell'Italia è sempre stato lui, nessun altro suo calciatore. E debba sapere che ci fidiamo ancora, siamo perfino felici che sia rimasto. Ma è tempo di asciugarsi le lacrime e trovare un metodo più stabile di costruire la squadra. Altrimenti non ripartiremo .
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