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    SERGE GAINSBOURG, L’ULTIMO DEI POETI MALEDETTI - UNA MONOGRAFIA RICOSTRUISCE LE 3 ANIME DELL’ARTISTA FRANCESE - IL MONELLO CHE ESIBISCE LA SUA STELLA GIALLA DI EBREO AI TEDESCHI OCCUPANTI, IL DEMIURGO DEL SUONO E DELLA PAROLA E IL "CECCHINO DI SE STESSO" IN TV QUANDO UBRIACO DICE A UN’ALLIBITA WHITNEY HOUSTON DI VOLER ANDARE A LETTO CON LEI - LA STORIA DEL BRANO “JE T’AIME…”- VIDEO


     
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    Massimo Raffaeli per il Venerdì – la Repubblica

     

    gainsbourg birkin gainsbourg birkin

    Da mezzo secolo nel senso comune del pubblico italiano il nome di Serge Gainsbourg è associato a un brano musicale, Je t' aime moi non plus, la cui interdizione alla radio garantì sottobanco un successo di vendite senza precedenti.

     

    Sulla copertina del vinile a 45 giri compariva un quarantenne dal volto irregolare, gli occhi gonfi e la barba di tre giorni, vicino a una silfide ventenne, Jane Birkin, il cui vistoso candore smentiva la voce che esalava dal disco medesimo: nemmeno una canzone in senso stretto ma l' evocazione di un rapporto sessuale in presa diretta, quasi un' onda psicofisica portata al suo acme, dove le parole morivano in sospiri e in aspre esclamazioni del desiderio.

     

    Nessuno sapeva che Je t' aime era già stata registrata nientemeno con Brigitte Bardot e però mai pubblicata per un ripensamento di quella che Gainsbourg, suo amante in carica, aveva definito la ninfa Egeria del XX secolo. Si può aggiungere che nessuno in Italia conosceva Gainsbourg e che tuttora pochi davvero lo conoscono se non per quel disco e per lo stereotipo che ne era nato, lo stesso che lo associa a un carattere trasgressivo, insolente e debosciato.

     

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    Che Serge Gainsbourg (Parigi 1928-1991) sia stato invece molte altre cose, innanzitutto un autore poligrafo e un versatile demiurgo del suono e della parola, lo spiega adesso la singolare monografia di Boris Battaglia, Gainsbourg. Niente è già tanto (Armillaria, pp. 213, euro 12, con una bella prefazione di Alessio Lega), scritta in soggettiva, alla maniera di una ragionata apologia, che ha il merito di colmare una lacuna bibliografica se si eccettuano le gainsbourghiane Poesie senza filtro (a cura di Dionisio Bauducco, Stampa Alternativa, 2006) e il racconto terminale, quasi un testamento o la premonizione di un disfacimento, Gasogramma. Autobiografia iperastratta (traduzione di Paola Vallerga, Isbn, 2011).

     

    Battaglia legge nella parabola dell' artista francese un crocevia e l' essenza del pop quando coglie, a proposito di Je t' aime, «la capacità di concretizzare in una struttura narrativa iperlinguistica e ultrarazionale gli aspetti istintuali, alogici e prelinguistici, sentimentali, che appartengono alla natura dei nostri comportamenti».

     

    Eccessivo, scabroso, misogino e d' altro lato tenero, insinuante, spiazzante, in Gainsbourg convive una miscela al plastico e da Gainsbourg ci provengono non meno di tre fisionomie dislocate nel tempo ma concentriche se viste in prospettiva. La prima ha nome Lucien Ginsburg, figlio di un pianista russo immigrato, ed è il monello espulso da scuola che vaga per le vie di Montmartre esibendo con strafottenza la sua stella gialla di ebreo ai tedeschi occupanti: prova con la pittura ma fallisce e ripiega sull' esempio paterno eseguendo al pianoforte, nei locali parigini alla moda, sia i prediletti Schubert e Chopin sia gli standard di Gershwin e Cole Porter.

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    È lì che, a trent' anni, nel 1958 Ginsburg diviene Gainsbourg pubblicando il primo album che commemora e suggella la grande canzone francese (Trenet, Prévert/Kosma e Vian che sarà un suo fedelissimo) specie nel brano Le Poinçonneur des Lilas, triste vicenda di un bigliettaio che dai sotterranei del métro sogna l' altrove e la liberazione ma è costretto a riconoscere nei buchi della sua macchinetta perforatrice un destino di vuoto e di morte.

     

    I vent' anni che seguono disegnano una traiettoria incandescente dove al disordine della vita sentimentale di Gainsbourg si legano sia una inesausta sperimentazione delle sonorità (e a oltranza si susseguono jazz, rock, rap) sia un' arte della parola che ha un solo precedente, è stato detto, in Paul Verlaine e dunque nel combinato disposto di segno inciso e leggerezza volatile. Sono i tratti evidenti dei suoi capolavori, concept album incentrati sul classico connubio di amore e morte, quali Histoire de Melody Nelson ('71) e L' Homme à tête de chou ('76) cui si interpone Rock around the Bunker ('75) dove si misura con la propria vicenda di ebreo scampato e con l' oblìo sopravvenuto nella società dei consumi.

     

    SERGE GAINSBOURG SERGE GAINSBOURG

    Questo è già il sintomo di una sovresposizione che se ancora non intacca il talento dell' artista lo espone tuttavia a una imminente deriva: aumentano infatti le dosi quotidiane di gin e sigarette (pare arrivasse a cinque pacchetti di Gitanes), si susseguono gli amori sbandati, proliferano le collaborazioni più occasionali, non escluse le comparsate al cinema (sia pure con qualche gemma, tra cui un ruolo da protagonista nel Romanzo di un ladro di cavalli, '72, per la regia del grande Abraham Polonsky, blacklisted ai tempi del maccartismo).

     

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    Decenni già vissuti all' estremo immettono agli anni Ottanta, quando Gainsbourg indossa la maschera di chi accetta il proprio stereotipo fino a brandirlo orgogliosamente e infatti diventa Gainsbarre, non più soltanto un poeta e un musicista quanto un provocatore, un cecchino il cui set più naturale è lo studio televisivo dove viene invitato perché dia fondo alle sue intemperanze: come quando, in evidente stato di ebbrezza, brucia una banconota da 500 franchi definendo «puttana socialista» il sistema progressivo della tassazione francese o come quando dice a un' allibita Whitney Houston di volere andare a letto con lei seduta stante.

     

    L' ultimo gesto sul serio scandaloso, perfettamente immoralista, è la versione reggae della Marsigliese nell' album Aux armes et cætera ('79). Ma ormai non ha più niente da trasgredire perché via via si è tramutato nel capro espiatorio di sé stesso. L' ultima maschera, il truce Gainsbarre, mostra in anticipo un rigore mortuario, non ha più nulla del monello insolente o del giovane désabusé, pallido e perso nella nebbia, che ci guarda da un bellissimo ritratto fotografico di Mario Dondero. Da troppo tempo versi come quelli di Je t' aime, con la loro tenerezza malinconica, gli sono inconcepibili. Dal 2 marzo del 1991 Serge Gainsbourg riposa nel cimitero di Montparnasse a pochi metri dalla tomba di Baudelaire, come è giusto che sia per l' ultimo dei poeti maledetti.

     

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