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    “SO COSA VUOL DIRE SOFFRIRE” – FINALMENTE UN CALCIATORE CHE NON DIMENTICA LE SUE ORIGINI: KEITA, EX LAZIO E INTER, PAGA PER UN MESE VITTO E ALLOGGIO A 150 LAVORATORI STAGIONALI SENEGALESI IN CATALOGNA – “SE NON MI FOSSI ESPOSTO I LAVORATORI AVREBBERO CONTINUATO A DORMIRE IN STRADA. I MIEI GENITORI HANNO FATTO DI TUTTO PER DARCI UN FUTURO IN EUROPA. IO DAREI TUTTI I SOLDI CHE HO GUADAGNATO IN QUESTI ANNI, SE SERVISSERO A FAR SPARIRE IL RAZZISMO”


     
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    PAOLO TOMASELLI per il Corriere della Sera

     

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    Keita Baldé Diao, attaccante del Monaco e del Senegal, ex di Lazio e Inter, ha procurato e pagato per un mese alloggio, vitto e vestiario per 150 lavoratori stagionali senegalesi a Llerida in Catalogna, la regione dov' è nato e cresciuto. Almeno una dozzina di hotel e strutture della cittadina si erano rifiutati di ospitare i braccianti agricoli prima dell'intervento del calciatore e solo di recente il comune catalano si è fatto carico della situazione.

     

    Come è nata l'iniziativa?

    «Ho visto il video del portavoce dei lavoratori: mi sono commosso per la vicenda, l'ho contattato e abbiamo iniziato pensare a come risolvere il problema».

     

    All'inizio si era mosso in forma anonima?

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    «Sì, ma c'erano questioni burocratiche che stavano complicando le cose e sono dovuto uscire alla luce. È andata bene così: se non mi fossi esposto credo che i lavoratori avrebbero continuato a dormire in strada».

     

    Si è confrontato con una realtà nuova?

    «No, la conosco bene, perché vengo da genitori africani che hanno dato tutto per arrivare in Europa e dare un futuro migliore ai loro figli: per questo quando vedo situazioni del genere provo sempre ad aiutare. L'ho fatto con tutto il cuore, perché mi ritengo un ragazzo di cuore: non era una cosa pensata per finire su Instagram, ma per risolvere un problema. Così è stato».

     

    Ha visitato la «porta» degli schiavi, sull'isola di Gorée in Senegal, dove venivano scelti i lavoratori da condurre in America?

    «Sì e ogni volta che vado mi viene la pelle d'oca, per tutto ciò che significa quel luogo. Lì ti spiegano bene cosa accadeva in quegli anni, una realtà durissima: la storia è sempre meglio conoscerla».

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    Da Rashford a Hamilton, da Kaepernick a Thuram junior: cresce il movimento degli atleti che si espongono con gesti concreti e simbolici. Ma nel calcio si fa abbastanza per contrastare il razzismo?

    «Gli episodi si ripetono puntualmente purtroppo. E io darei tutti i soldi che ho guadagnato in questi anni, se servissero a far sparire il razzismo. Ma dipende dall'educazione e dai valori delle persone. Non è semplice».

    L'esultanza in ginocchio non l'hanno utilizzata molti giocatori bianchi: che ne pensa?

    «Deve essere un gesto spontaneo e non sempre nella foga del momento uno ci pensa. Ma se accade, ben venga».

     

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    Negli stadi italiani c'è più razzismo che altrove?

    «In Italia il problema si ripresenta spesso e bisogna fare in modo che accada meno. A volte sono pochi scemi a comportarsi male. Però c'è gente cattiva, che cerca di attirare l'attenzione e non va sottovaluta».

     

    Alcuni suoi colleghi dall'estero dicono «non andate a giocare in serie A» a causa del razzismo. Che ne pensa?

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    «Chi non vive in Italia e non conosce tutte le belle persone che ci sono da voi, può essere spaventato quando succedono certi episodi. Io mi sono trovato benissimo e non giudico un Paese per cento che sbagliano: però - tutti insieme - dobbiamo cercare di abbassare quel numero».

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    Lei e Mané del Liverpool come siete visti in Senegal?

    «Siamo dei modelli, molto amati. Abbiamo gli stessi progetti, nei nostri villaggi d'origine: aiutiamo a costruire scuole, moschee, ospedali, strade. Il presidente ci ha convocato, è un onore. E il nostro sogno è che escano altri dieci Mané e dieci Keita».

     

    Cosa le rimane della Masia, il mitico settore giovanile del Barcellona dove è cresciuto?

    «Disciplina, rispetto e valori: sicuramente non è un caso che da lì escano sempre buoni giocatori».

     

    Lei è arrivato giovanissimo in Italia, cosa è rimasto nel suo bagaglio dell'esperienza in serie A?

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    «Con la Lazio sono cresciuto, ho imparato tanto e sono diventato grande. Con l'Inter è stata un'esperienza breve ma molto intensa. Calcisticamente, mi è rimasta la componente tattica italiana, soprattutto nel posizionamento senza palla».

     

    Come vive l'anomalia del calcio francese che si è fermato definitivamente il 30 aprile a causa della pandemia?

    «Volevamo finire il campionato e i club ci hanno provato. Almeno siamo felici di aver ripreso gli allenamenti per la prossima stagione».

     

    Che sogni ha per il futuro?

    «Per adesso sto bene qua a Monaco, ho altri due anni di contratto. Cerco di migliorarmi tutti i giorni. E non solo dentro a un campo di calcio».

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