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Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"
Da un po' di tempo la programmazione di Sky Arte sta diventando interessante (Sky, canali 110, 130). Quando mi riesce, non perdo l'appuntamento di «Destini Incrociati Hotel» (incontri che hanno cambiato la vita a protagonisti della cultura), ma anche il resto del palinsesto non manca di stimoli: ritratti di personaggi, musica leggera (una serata è appena stata dedicata ai Clash, una delle band più rappresentative del punk) e musica classica, cinema, arte, design.
Spesso, la cultura nella tv italiana si è manifestata come qualcosa di episodico, di occasionale, di inaspettato: quando appare sullo schermo, ha inevitabilmente le forme dell'apparenza, è timido sussulto, vibrazione esteriore. Ed è perciò sempre più raro trovarla nelle trasmissioni cosiddette culturali. In nome della cultura, l'intelligenza è stata più volte sfregiata, se non umiliata.
Intendiamoci: la cultura non è un materia circoscritta (libri, mostre, eventi, divulgazione, il ricordo del maestro Manzi...), un genere simile alla cronaca o allo sport. La cultura è un carattere delle cose, non una posa, non lo stato d'animo di chi si riempie la bocca con la parola «cultura».
Tuttavia Sky Arte, diretta da Roberto Pisoni, cerca di costruire un'identità di rete, che è il primo requisito per investire in cultura: molti programmi sono d'importazione, ma comincia a fiorire una produzione italiana obbligata a seguire simili standard produttivi. Sfida non facile, perché da anni la nostra tv si distingue soprattutto nel peggio.
La nostra società fatica a fare cultura perché non riconosce più il fondamento stesso della cultura: un sapere che si assimila alla ricerca di un assoluto, sciolto da qualsiasi vincolo di obbedienza al corpo sociale (in Rai, con la lottizzazione, ogni iniziativa culturale ha quasi sempre un retroterra infelice, basta vedere come vengono celebrati i 60 anni dalla nascita).
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