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Carlos Passerini per “il Corriere della Sera”
Il Leeds che ha appena conquistato la promozione in Premier League a 16 anni dall'ultima partecipazione, ha un'anima italiana. Anzi, una mente. Quella di Andrea Radrizzani, intraprendente manager 45enne milanese («per la precisione di Barbaiana, vicino a Lainate») che ha fatto fortuna occupandosi di media e sport. Nell'aprile 2015 ha lanciato Eleven, network di contenuti sportivi internazionali. Storia da tipico self made man, la sua.
«Sì, mi sono fatto da solo. La mia è una famiglia semplice, di operai: mi hanno dato la possibilità di studiare, ho lavorato sodo e ho fatto carriera nell'ambito del cosiddetto sport media business, la commercializzazione dei diritti televisivi».
E a diventare presidente del Leeds come ci è arrivato?
«Dopo un viaggio lungo. Ho lasciato Milano presto, dopo l'università allo Iulm. Ho iniziato a occuparmi di diritti sulle piattaforme new media, in sostanza i primi diritti Internet della serie A, già nel '99. Poi sono stato in Asia per specializzarmi sui diritti tv. Shanghai, Tokyo, Singapore, Londra, New York. Ho gestito MP&Silva. Poi nel 2017 c'è stata questa opportunità di investire direttamente in un club. Ne cercavo uno che fosse l'ideale per lo sviluppo di talenti, in Portogallo o Francia, poi c'è stato l'incontro con Massimo Cellino, allora proprietario del Leeds. Ed eccomi qua».
Dicono che in tre anni abbia triplicato l'investimento.
«Ho investito 100 milioni di sterline, oggi ne vale 300. Leeds è una metropoli viva, passionale. Abbiamo ricomprato lo stadio. Potenzialmente il valore può arrivare al miliardo. Dobbiamo restare in Premier per almeno tre anni, poi punteremo alla Champions».
Quanto incasserà dai diritti televisivi della Premier?
«Più o meno 100 milioni di sterline. Quando l'abbiamo preso, il club ne fatturava 30. Ora 60. Arriveremo a 200. Come il Milan, circa...».
Da italiano che investe in Inghilterra, cosa manca alla serie A? Perché questo abisso dalla Premier?
«Manca una struttura manageriale con approccio internazionale. Mentre altre leghe si sono strutturate, l'Italia non ha investito sul prodotto, ha scelto un'ottica opportunistica, padronale. Serve un cambio di mentalità».
Anche sui diritti tv?
«Siamo a uno snodo epocale. Le piattaforme tradizionali hanno un mercato stagnante. Oggi l'idea di un abbonamento per 200 canali è superata, il calcio è offerto a una élite che può pagare 50 dollari al mese. Ecco perché c'è tanta pirateria. Se si riuscisse a democratizzare le offerte, il business sarebbe molto più ampio».
Facebook, Amazon, le piattaforme social: questo è il futuro?
«Immaginate se la Juve e Ronaldo potessero vendere le loro partite a milioni di indonesiani attraverso Instagram, Twitter. Guadagnando loro stessi una commissione, mentre il detentore dei diritti incasserebbe su una molteplicità di fruitori enorme, globale. I micro pagamenti sono il futuro: 2-3 dollari a partita. Il numero complessivo sarebbe gigantesco. Si potrebbe già fare, ma serve coraggio».
Come a scegliere Bielsa. Un maestro ma anche un personaggio ingombrante.
«Non è semplice lavorare con lui, a volte mi sono dovuto scontrare, ma è un allenatore straordinario, unico. Se resterà? Vediamo, decidiamo la settimana prossima».
È vero che l'estate scorsa ha corteggiato Conte? E che ora vuole Ibrahimovic?
«A Conte, durante un pranzo, feci una mezza battuta anche un po' seria. Ma poi era già impegnato. Zlatan l'ho cercato a gennaio, sì. Ma ha capito che il calcio inglese forse non è l'ideale per lui in questo momento della sua carriera. Su Cavani l'idea c'è. Ma non siamo gli unici».
Gira voce che vuole comprare un club in Italia.
«Qualche trattativa in passato c'è stata. Samp, Bari. Costavano meno, ma non avevano quello sviluppo globale che può avere il Leeds. Milan e Roma? Difficile, sono grandi club, con proprietà forti. E poi io qui sto benissimo. Oggi la mia holding, Aser Ventures, viene avvicinata da molte istituzioni finanziarie che vogliono investire. In futuro, però, non escludo di consolidare il progetto aggiungendo una squadra in Italia, ma deve essere il progetto giusto. Il calcio sta diventando globale».
Il suo obiettivo è un cosiddetto network, quindi, una holding calcistica?
«La mia idea è un gruppo che abbia almeno 2-3 club in Europa, con sinergie importanti a livello tecnico e commerciale. Come l'Udinese, ma meno legato a un proprietario, più istituzionale e con maggiori capacità finanziarie. Non voglio essere padre padrone, ma un manager. In Italia c'è un po' di invidia verso chi ha successo, specie se è giovane. Ma arriverà il momento in cui farò qualcosa anche da voi, lo so».
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