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1. BEDDO MATRI, SEMPRE JUVE! LAZIO MUTA DOPO 120 MINUTI SPESI CON TUTTA LA DIGNITÀ DI QUESTO MONDO, SQUADRA VERA, E JUVENTUS CHE ACCAREZZA LA SBORNIA DEL TRIPLETE 2. LA LAZIO FA LA PARTITA MA SBATTE SULLA JUVE CHE, COME SEMPRE, COSTRUISCE LA SUA FORTUNA SU QUEI TRE TITANICI BUTTAFUORI LÀ DIETRO, TRASFORMABILI SPESSO E PURE STAVOLTA IN BUTTADENTRO, MENTRE ALLEGRI SI SCALMANA E TARANTOLA A BORDO CAMPO

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Giancarlo Dotto per Dagospia

 

Beddo Matri, sempre Juve! Lazio muta dopo centoventi minuti spesi con tutta la dignità di questo mondo, squadra vera, e Juventus che accarezza, ai piedi della montagna Messi, via Berlino, la sbornia del triplete.

 

Non facile tornare al calcio giocato. Devi immergere il naso in una vasca mandorlata di Dior, versione hypnotic poison, a ingannare la schifezza che ti sale dai mantici e t’arriva al cervello per via di tutto quanto losco e intercettato in questi giorni nei bassifondi del calcio.

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Sei lì quasi grato a specchiarti nel sermone di Mattarella, il presidente all’Olimpico, che dice cose probe sotto la chioma turchina, in un chiocciare attorno democristiano di gorgoglii che sembrano e sono domande, di mugolii che sembrano e sono consensi, quando t’inquadrano a tradimento Lotito (al suo lato come sempre quel genio incompreso di Igli Tare, la cui allarmante fissità riporta a certi marmi con cui di solito si sigillano i cadaveri stanchi d’essere ispezionati dallo sguardo dei vivi).

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Vedi Lotito e, se non muori, poco ci manca.  Riparte la fatica di Sisifo. Il gioco foscoliano delle illusioni e pure quello pascoliano del fanciullino, ogni volta stuprato e ogni volta, diciamolo, un po’ ottuso, che riparte come Nausicaa a giocare con la palla sulla spiaggia mentre i Proci dilagano, come Tevez e compagni.

 

Tutto questo per dire che ce la siamo comunque goduta la finale di Coppa Italia, una meraviglia di botti per un quarto d’ora. Palle inattive che fanno male. La martellante zuccata di Radu e l’acrobatico conato di Chiellini, ma un gran match per tutto il resto, intensità totale, e arrapanti, per quanto intermittenti, giocate di Felipe Anderson, per cui stravedo, di qua, e Pogba di là, che però sparisce nel secondo tempo.

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I romanisti a casa, me compreso e confesso, a tifare pessimi perché i novanta minuti diventino almeno centoventi per intossicare i polpacci delle aquile e azzerare il vantaggio dell’impresa lotitesca di far diventare bellicosamente lunedì ciò che era pacificamente domenica.

 

La Lazio fa la partita ma sbatte sulla Juve che, come sempre, costruisce la sua fortuna su quei tre titanici buttafuori là dietro, trasformabili spesso e pure stavolta in buttadentro, mentre l’irriconoscibile Allegri si scalmana e tarantola a bordo campo pienamente intriso del suo delirio d’essere l’artefice di quanto accade in campo.

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Bianconeri a scartamento ridotto, in quanto Pirlo è più evanescenza che genio, Tevez gira rabbioso al largo, ogni volta sommerso da un paio di rampicanti e Llorente che non vale Morata e stasera nemmeno Matri. Partita che insiste e cuori che saltano di qua e di à per il doppio palo di Djordjevic, sinistro meraviglioso inghiottito dal grande culo bianconero, che prima assorbe il siluro e pochi secondi dopo lo rispedisce al mittente. E’ la legge inesorabile del calcio. L’unica che vale.  

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