“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
LEONETTA BENTIVOGLIO PER "LA REPUBBLICA"
È una travolgente forza della natura, Dada Masilo. Chi non ha mai assistito alla sua danza - scatenata eppure rigorosa, ibrida e modernissima, nutrita di amore per le sue radici africane ma anche fertile di elaborazioni innovative - potrà scoprirla nella sua eccentrica versione di Carmen , prevista sulla scena romana del Brancaccio dal 29 ottobre al 2 novembre.
La sua fantastica presenza rappresenta uno degli appuntamenti più attesi del ricco cartellone di danza programmato dal festival Romaeuropa, che apre il 24 settembre con Akram Khan e Israel Galván (autori di Torobaka, spettacolo che mette a confronto i linguaggi diversissimi del khatak e del flamenco).
Nata a Johannesburg e plasmatasi artisticamente tra il Sudafrica e Bruxelles, Dada è germogliata in fretta come coreografa dal segno originale, svettando parallelamente come ballerina prodigiosa per musicalità, estro selvaggio ed energia intensificata dal sapiente disegno strutturale delle sue messe in scena. Artefice insieme a William Kentridge dell’affresco teatrale Refuse the hour , capolavoro onirico e poetico basato sull’indagine della nozione di tempo, Dada coltiva una passione: rivisitare i classici. In The Bitter end of Rosemary ha costruito un interessante gioco performativo sulla figura di Ofelia nell’ Amleto di Shakespeare.
William Kentridge and Dada Masilo
Inoltre è celebre la sua versione del Lago dei cigni che coniuga il romanticismo europeo con la realtà di Soweto, dove la Masilo ha vissuto durante l’apartheid. Dada inserisce nel soggetto una serie di storie d’amore africane e un rovente manifesto anti-omofobico: le discriminazioni sessuali, sembra dirci questo suo Lago interpretato da tredici cigni bianchi (ma sono tutti danzatori di colore), s’annullano davanti alla tragedia di un continente devastato dall’Aids. «Adoro i classici per la quantità di materiali e spunti che propongono», spiega. «Non mi piace la danza astratta. Preferisco riportare in vita un personaggio. Amo narrare vicende in cui la gente si riconosce, e la maggior parte dei classici tratta problemi sociali in cui tutti possono riflettersi».
Giunse alla Carmen grazie all’edizione coreografica di Mats Ek,vista quando aveva sedici anni: «Decisi che un giorno avrei danzato quel ruolo. Carmen è cattiva. È tutto ciò che la mamma ci dice di non essere. Trovo geniale poter fare la maleducata e la trasgressiva sapendo che quella donna non sono io, e che sto solo esponendo al pubblico un racconto. Volevo lanciarmi nel mio personale inferno e sfidare il rischio».
La creazione parte dall’opera di Bizet, ma musicalmente usa la suite per balletto che Rodion Scedrin ha realizzato sui temi e le musiche dell’originale bizetiano, aggiungendovi la Habanera cantata da Maria Callas e due estratti del Lamentate di Arvo Pärt. Il percorso mira a individuare una verità umana: «La trama parla di sesso, manipolazione, dolore, ambizione e morte: cose di cui è fatto il mondo. Di fronte a tutto ciò non volevo essere troppo educata e timida. Ho cercato di mostrarmi così come sono, influenzata da quanto accade nel mio Paese».
Per tradurre Carmen nella propria danza, Dada ha studiato la tecnica del flamenco, «fondendola col mio stile contemporaneo ». Elementi spagnoleggianti, citati con la sua consueta stravaganza, appaiono anche nei costumi, «che non sono quelli del baile tradizionale, troppo pesanti per il mio modo di muovermi, ma di cui ho adottato la fluidità e anche le rose piantate in testa, sebbene io non abbia capelli!», esclama sfoggiando il suo bel cranio tondo e rasato.
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