DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giancarlo Dotto per “Dagospia”
Sapete chi è Tata Martino? Un clown del circo Orfei? Un caratterista dell’ultimo film di Almodovar? Una specie rara di uccello tropicale? Sbagliato. E’ quel simpatico ebete che stanotte sulla panchina dell’Argentina esultava (devo dire, con onesta moderazione) per il fatto di essere Tata Martino, allenatore dell’Argentina, lì, con le chiappe sbagliate sulla panca giusta, mentre in campo Messi, Pastore, Aguero e Di Maria facevano a pezzi il Paraguay. Coppa America.
Finale meravigliosa, sabato notte, tutta da non perdere, Cile-Argentina. La vedete su Gazzetta Tv, il canale digitale della rosa che, vista la mala parata, lo tsunami che ha stracciato la carta, ha riciclato i suoi scriba sotto contratto in tanti più o meno telegenici bambolotti televisivi, tra cui il migliore (scrivente) di tutti, l’amico e sosia Paolo Condò.
Qualche fessacchiotto, tra i tanti umanoidi che hanno consegnato alla possibilità d’insultare qualcuno sui muri del web la fessa illusione di esistere, non la smette di riciclare (ne intravedo lo scimmiesca smorfia da euforia espressiva clandestina) un mio palazzeschiano graffito d’inizio stagione che diceva: “Allegri alla Juve? Fosse vero si sono scavati la fossa col fesso”.
Confermo, smentisco e mi spiego, ora che l’Allegri ha vinto quasi tutto sputtanando l’eventuale me e risillabando il trito luogo comune dell’allenatore vincente. Confermo. Solo un fessoide nato può pensare che la Juventus sia Allegri. La Juventus è Bonucci, Chiellini, Buffon, Tevez, Pirlo, Pogba, Morata, Marchisio, persino Storari più di Allegri, certamente Agnelli, casomai Conte o il suo fantasma. Smentisco. Allegri è molto più furbo che fesso (personalmente trovo più interessanti i fessi dei furbi).
MARTINO ALLEGRI MOURINHO HERRERA
Fesso, da etimo latino, è la fessura, lo spacco, il vuoto che sta per esempio tra due natiche. Suona fessa la voce di Allegri e suona fesso il muso lungo e attonito da cavallo (tutti noi siamo la silhouette di un animale, per lo più il gorilla, me incluso, ma anche molti cani, gatti, giraffe e iene), sotto il quale si capisce luccica un uomo educato, perbene, l’arguzia si dice toscana se non proprio livornese del saper stare al mondo.
Allegri, grazie anche al “fesso”, cioè il provvidenziale “vuoto” che gli fredda le tempie, è riuscito a calarsi alla perfezione nella temperie della Juventus del dopo Conte, mostrando adattamento e sagacia. Palazzeschi mi ha fregato e la Juventus non si è scavata la fossa con Allegri. Anzi, con lui ha potenziato la trincea contiana, ripopolandola di nuovi moventi belluini che Allegri, da saggio cavallo, ha cavalcato (del tipo “dimostriamo al mondo che non siamo gli androidi di Conte”).
jose mourinho con le coppe del triplete
Mi spiego. Come quasi tutti sanno, l’aureola del Mister è una bolla mediatica che si è gonfiata fino all’ipertrofe al tempo del Mago Helenio (Herrera) e della sua rivalità con Nereo Rocco, le narrazioni prodigiose di Gianni Brera, qua e là rigenerata da “personaggi”, tipi letterari, il Trap, Scoglio e Boskov su tutti, fino al più grande, Josè Mourinho, un altro grandioso illusionista. I più intelligenti di loro, Mourinho ancora, sanno che c’è e dov’è, il trucco. Lo sanno e ne fanno un’arte. I più sempliciotti ci credono. E il gregge gli va dietro. Credono di essere quello che non sono.
Arrigo Sacchi da Fusignano. Il suo Milan, la squadra perfetta, aveva almeno otto allenatori in campo (Ancelotti, Tassotti, Maldini, Baresi, Costacurta, Donadoni, Rijkaard, tolgo Gullit e aggiungo Giovanni Galli) oltre a una dozzina di fuoriclasse assoluti (Berlusconi e Van Basten su tutti). Irresistibilmente comica è la sincopata lectio magistralis (pause espressive da divinazione incombente)
che ogni volta l’Arrigo televisivo, l’umano meno telegenico della storia, c’infligge e ci affligge ogni volta scortato dalla devozione annoiata e lievemente impaziente degli astanti, la pupilla grottescamente allucinata dalla pressione di un ego gigantesco. Sacchi martellò quel Milan irripetibile con la sua mania, la infuse certo in quella squadra, che avrebbe stravinto comunque e di più con la leggerezza del suo talento, portandola nel giro di tre anni, ma anche prima, alla nausea e al rigetto.
Zeman, molto più intelligente, interessantissimo caso di autismo boemo, ha inventato un calcio che esiste solo nella sua mente e che si è incarnato solo quando ha trovato una banda di creduli disposti a morire sul campo e sui gradoni, anche per eccesso di ormoni giovanili a disposizione.
L’allenatore nel calcio negli anni ‘60, come il regista a teatro nei primi del Novecento o il direttore d’orchestra ancora prima, arriva come un intruso e s’insedia come un usurpatore, spacciandosi come l’artefice. Tiranni, domatori, ciarlatani hanno mortificato calciatori, attori, piedi, voci e violini, hanno umiliato il talento soggiogandolo al loro delirio. Johan Cruijff , Leo Messi, Carmelo Bene, Orson Welles, Maria Callas, ma persino Rino Gattuso e Leo Gullotta, sanno già tutto quello che c’è da sapere. Monica Vitti vale più di Michelangelo Antonioni. Il centro della scena è tutto loro. Dimenticarlo è una bestemmia. O un pettegolezzo mediatico.
MESSI CON LA COPPA DEI CAMPIONI
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