DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Alla fine, i tre punti e il gol estremo del bambino Sadiq, anima lunga e finalmente un cognome che sa di buono, sono le cose da salvare. Garcia salvo? Nessuno sa cosa ci sia nella testa di Pallotta e delle sue emanazioni romane. Il risultato utile o la prestazione penosa? La squadra è con lui, Garcia, ma è una squadra che non ha nulla da spendere, se non generiche, buone intenzioni.
L’1 a 0 di Florenzi e l’abbraccio corale a un allenatore mangiato dallo stress, accolti dai fischi dei cinquemila paganti, arrivavano alla fine del primo tempo quando il pensiero giallorosso meno tetro è: siamo una banda di morti. Bastano cinque minuti per capire che l’encefalogramma è piatto. No testa, no gambe, il cuore, se c’è, è in qualche lontano igloo sommerso dal ghiaccio e dalla depressione. Cadavere contro cadavere. Ma quello del Genoa si contenta di non respirare. L’inerzia forse può bastare nel sepolcro dell’Olimpico.
Quello della Roma ha il triste movimento in regress oltre che l’odore della fatiscenza, con tutta la gelatinosa mollezza che ne segue. Rassegnazione e masochismo. Voluttà a perdere. Dopo mezz’ora sono già ammoniti proprio i due sotto diffida, Nainggo e Pjanic, che sfodera i polpacci per il più inutile dei falli, il che prolungherà la sua sosta natalizia. Meglio così. Il gol di Florenzi è una banconota da mille euro trovata sotto una foglia di fico.
Nessun alibi. La Roma ha tutti i suoi titolari un campo. O almeno il loro nome, il caso di Gervinho, che pure dovrebbe smaniare per salvare il suo allenatore del cuore. Una caterva di errori elementari. Non saper che fare della palla. Pensare che questa squadra fino un mese e mezzo fa si candidava per lo scudetto pare un delirio da mescalina. Dzeko sembra sempre più un cicognone cui hanno messo i piombi sulle zampe. Sbagliano tutti. Tutti gli ultimi passaggi.
I cross sono poco meno dei fisiologici peti, un’ammorbante confessione di mollezza dell’anima ridotta a sfiato. Giocatori a spasso come in un pianeta sconosciuto verniciato di verde. Il presente è talmente inguardabile che quanto resta dello stadio s’inventa l’unica cosa vitale della partita, il coro pappalardesco “Ricominciamo”, senza però la gorillesca vis del cantante, ma come una sorta di preghiera invocazione da disperazione.
La certezza è che questa Roma di oggi avrebbe perso contro chiunque non si chiamasse Genoa, questo Genoa pieno di riserve e mezze tacche. Fa di tutto per non vincere anche questa, come quando Dzeko si fa espellere per reiterato “fuck off” in faccia a Gervasoni, che è permaloso. Giornataccia per il bosniaco e il gol di Sadiq non lo aiuta. Segna in dieci minuti un terzo dei suoi gol in tutto il campionato. Per il resto, pochi brandelli di Manolas e Rudiger, qualche folata di Salah, l’ottimo Scezny e niente altro.
Aspettando l’Inter, vincono tutte le altre. Ancora doppio Higuain, osannato anche dai tifosi dell’Atalanta, la Fiorentina con i suoi “ic” e la Juventus in trasferta con il Carpi. Dove, alle spalle di un Allegri che è sempre più la caricatura improvvisa dell’allenatore furioso e viriloide, c’è una squadra che vince sette volte di seguito e dimostra sempre più che sa quello che vuole e vuole quello che sa. Mandzukic sembrava l’unico acquisto fallato dell’estate. Due gol anche ieri.
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