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Alessandro Catapano per la Gazzetta dello Sport
Entra che non è ancora venuta sera, le auto incolonnate nel traffico, la città che si avvia nervosamente ad archiviare un' altra giornata di deliri. Esce tre ore dopo, i romani sono già a cena, le strade finalmente libere, anche l' ultimo volo per Atene andato. Andrea Agnelli è sereno. Gli avvocati Luigi Chiappero e Franco Coppi, i suoi legali, non hanno perso un colpo.
La lunga, agguerrita requisitoria del procuratore federale Giuseppe Pecoraro - «Soltanto lui ha parlato quasi due ore, che esagerazione», sbotta a un certo punto Leandro Cantamessa, che difende Francesco Calvo - rispedita al mittente, punto su punto, fanno intendere anche meglio del 1° grado, quando già riuscirono a smontare un bel pezzo del teorema accusatorio.
Si vedrà il 18 dicembre, data prevista per la sentenza, quanto Agnelli sia stato responsabile e consapevole di quei pacchi di biglietti finiti in modo un po' troppo disinvolto agli ultrà. La Corte d' appello federale - collegio composto dal presidente Santoro e dai presidenti di sezione Ronzani, Sferrazza, Greco e Cirillo - si è presa tutto il tempo previsto dal codice. «Il caso è complesso e corposo: abbiamo letto 1.200 pagine», racconta Pierluigi Ronzani.
FIDUCIOSI Tre ore di corpo a corpo, animati dalla coerenza con cui Pecoraro ha insistito sull' aggravante mafiosa dei comportamenti dei dirigenti juventini - erano consapevoli della natura criminale dei soggetti con cui interloquivano - già cassata dal Tribunale federale. Una linea che non ha colto impreparata la difesa juventina, che ha provato a smontare anche la tesi che Agnelli - condannato in 1° grado insieme ad Alessandro D' Angelo, Stefano Merulla e l' ex responsabile marketing Francesco Calvo - fosse del tutto consapevole delle mani in cui finivano i biglietti.
«Nulla di nuovo, ce lo aspettavamo - racconta l' avvocato Coppi - la ricostruzione dell' accusa è la stessa del primo grado, restiamo ottimisti e fiduciosi». Il presidente della Juventus, che il 18 dicembre avrà già scontato quasi tre dei dodici mesi di inibizione cui è stato condannato in 1° grado, punta almeno a grattare via un' altra porzione di squalifica. Dopo, resterà solo il Collegio di garanzia del Coni.
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