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E' TORNATO IL VECCHIO CATTELAN! - QUELLO CHE MONTA UNA FORCA, APPENDE LUGUBRI STENDARDI E METTE IN MOSTRA UN ASSASSINO SERIALE FATTO SANTO. "SHIT AND DIE": TORINESE SIETE AVVERTITI

 

Marina Paglieri per la Repubblica -Torino

 

UNA mostra dal provocatorio titolo “Shit and Die”, giocata sul tema della vita e della morte, in cui compare persino la forca originale in funzione a Torino dal 1850 al 1865, tra i corsi Valdocco e Regina Margherita, nel cosiddetto rondò d’la Forca.

 

Con l’evento che prende il via mercoledì sera a Palazzo Cavour (vernice strettamente a inviti) Maurizio Cattelan “esordisce” sulla scena torinese, tra gli specchi e i velluti delle sale già residenza dello statista, a pochi metri dall’ex “casa del boia”.

Shit and DieShit and Die

L’iniziativa si inserisce in One Torino, progetto della direttrice Sarah Cosulich connesso ad Artissima, quest’anno non più diffuso tra i musei e le fondazioni del territorio, ma condensato in un unico appuntamento. Dove Cattelan non appare come artista — ha annunciato l’interruzione della carriera nel 2011, con una mostra esplosiva al Guggenheim di New York — bensì come curatore, con Myriam Ben Salah e Marta Papini.

 

 

La morte è tema ben presente nel percorso creativo di Cattelan, come dimostrano opere divenute icone della contemporaneità, dai tre bambolotti impiccati a un albero a Milano alla salma di John F. Kennedy composta nella bara, i piedi nudi bene in vista. Lui d’altronde, nato a Padova nel 1960, prima di diventare uno degli artisti di oggi più quotati, interrotti gli studi, aveva lavorato come infermiere in ospedale, in servizio nelle camere mortuarie.

 

 

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Una mostra, quella che si vedrà da giovedì in via Cavour 8, preparata durante ripetuti soggiorni in città: della quale Cattelan si sarebbe innamorato, attratto, lui eccentrico, dalle sue eccentricità. Ecco allora le peregrinazioni nei musei Lombroso, di Anatomia e del Risorgimento, a Casa Mollino (all’architetto torinese è dedicato il documentario “Séance”, realizzato per la mostra dall’artista Yuri Ancarani e prodotto da Sky Arte) e nelle raccolte di arte contemporanea, dove ha raccolto idee oltre che opere e cimeli. Il risultato è una sorta di Wunderkammer, con reperti più o meno macabri che, tra memorie e fantasmi subalpini, dialogheranno con i lavori di 50 artisti, da Carol Rama a Aldo Mondino, da Enzo Cucchi a Sarah Lucas, da Martin Creed a Tim Garden, e degli architetti Gabetti & Isola e Mendini.

 

 

Ieri Cattelan — giubbotto di pelle e sneakers colorate, sulle unghie la scritta “Shit and Die” — era a Palazzo Cavour per gli ultimi ritocchi alla mostra. E per appendere al balcone stendardi con la scritta “A man was beheaded yesterday”, un uomo ieri è stato decapitato.

 

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MAURIZIO Cattelan, si dice che Torino le sia piaciuta molto.È così?

«Beh sì, potrebbe essere la nuova Berlino e attrarre tanti giovani negli ex spazi industriali. Questa è una ipotesi, l’altra è che diventi una città conservatrice, che fatichi a convivere con un 50 per cento di stranieri e immigrati, come Marsiglia: sono scelte che dipendono dall’amministrazione. La vostra è una bella città, avete le montagne e il Po, a Milano c’è solo il Naviglio. Adesso poi ci sono pure i grattacieli »

 

Ha una ricetta da proporre per andare nella giusta direzione, verso la creatività?

«Bisogna essere aperti e promuovere il nuovo. Ma qui è difficile: in ogni angolo ci sono i Vittorio Emanuele e le Maria Giovanna: è vero, Torino guarda al futuro, ma anche, e molto, al passato. Eppure, nonostante questo, grazie ad alcune persone capaci negli ultimi anni la vostra città ha portato via a Roma e Milano il primato dell’arte contemporanea. La città insomma è a un bivio, tutto è possibile, si vedrà quello che succederà».

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Parliamo della mostra “Shit and Die”: perché la forca?

«Era la prima volta che ne vedevo una e ho voluto presentarla al pubblico. In fondo sono tre pezzi di legno con due scale, ma hanno molto da raccontare. Quando siamo venuti a Torino, con le altre curatrici, abbiamo chiesto quali fossero le cose più curiose e meno conosciute da vedere: ci hanno suggerito i musei della Montagna, della Sindone e il Lombroso, da cui arriva la “Forca di Torino”. Un tassista ci aveva portato prima a Porta Palazzo, spiegando che lì la città si divide in due, una parte più sicura e l’altra per niente, poi sul luogo dove si impiccavano i condannati. Ecco allora l’idea di portare la “forca” in mostra».

 

Come ha rappresentato un tema così drammatico?

«Guardi, la forca è un oggetto da vedere, fa venire i brividi. Al Museo Lombroso è inserita in un percorso: anche qui, dove costituisce uno dei sette capitoli della mostra, abbiamo voluto ricostruire un contesto. C’è per esempio, prestato dal Museo di Anatomia, il dipinto che raffigura Giorgio Orsolano, detto la Jena di San Giorgio, come un santo o la Madonna, in mezzo alle nubi, con la forca sotto di lui: era un macellaio assassino seriale, che secondo la leggenda confezionava salumi utilizzando carne umana».

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C’è anche un intento polemico nei confronti di un tema così attuale, pensando per esempio all’impiccagione in Iran pochi giorni fa di Reyaneh Jabbari?

«Ci sono storie, come questa della donna iraniana, che ci commuovono di più. Ma solo ieri l’Isis ha ucciso 31 persone, ogni giorno ci sono esecuzioni che magari ci colpiscono meno. La mostra non intende fare polemica: proprio come nei giornali, si vuole suscitare un dibattito, qualcosa di costruttivo. Anche per questo abbiamo appeso al balcone gli stendardi».