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Da “Repubblica”
La storia sua e dei suoi compagni ha commosso il mondo, non solo quello del calcio. L'unico a non conoscerla, paradossalmente, era proprio lui. E così, svegliandosi dal coma, il difensore della Chapecoense, Neto, s'è guardato intorno, sconvolto, e ha chiesto: "Com'è finita la partita contro l'Atletico Nacional? E perché mi trovo in un letto di ospedale con tutte queste ferite?".
Il 24enne è uno dei pochissimi superstiti della tragedia aerea in Colombia in cui hanno perso la vita 71 persone, tra cui la stragrande maggioranza della squadra. Cancellando il sogno di quel club brasiliano di provincia, di andarsi a prendere la Coppa Sudamericana: l'aereo avrebbe dovuto portare la "Chape"
A Medellin per la finale di andata: una finale che non ha mai potuto giocare. Ma Neto non poteva saperlo: di quel viaggio finito nel dramma non ricorda nulla. E ora che è di nuovo cosciente (anche se la vertebra lombare fratturata rende ancora complicata la sua situazione) e ha ripreso anche a respirare da solo, senza l'ausilio di macchinari, si guarda intorno sconcertato, continuando a ripetere quelle domande. A cui nessuno ha il coraggiop di ripondere. Nemmeno quando, invaso dai dolori, chiede: "Cosa mi sono fatto? Perché sono in ospedale?". Come dirgli che il trofeo è finito nella bacheca della società per volontà degli avversari, l'Atlético nacional, senza che però nessuno di loro potesse giocare quella partita tanto attesa.
A monitorare quotidianamente la sua situazione, oltre allo staff dell'ospedale di Medellin, è uno dei medici della Chapecoense, Carlos Mendonca, che si è trasferito in Colombia e assiste anche gli altri superstiti. E' a lui, uno dei colleghi con cui ha diviso le gioie del cammino nella Coppa, che Neto rivolge i suoi quesiti. Ma la psicologa che segue il recupero del portiere, soprattutto quello della sfera emotiva e psicologica, ha chiesto di prendere tempo, di aspettare a comunicare che della Chapecoense oggi resta soltanto la leggenda, oltre a pochissimi fortunati sopravvissuti.
E così Mendoca, ai cronisti di mezzo mondo che gli chiedono perché nessuno risponda a Neto raccontandogli la tragedia che s'è portata via i suoi compagni, i suoi amici, risponde: "L'esperta si è raccomandata di non dire nulla, per evitare che possa generarsi uno choc emozionale che in questo momento potrebbe pregiudicare il recupero clinico del ragazzo. Io devo darle retta, è una cosa troppo delicata e lei ha più elementi di me per giudicare".
Se Neto non riesce a ricordare nulla, ma sta lentamente uscendo dal tunnel, c'è chi continua a lottare. E' il secondo portiere, Jackson Follmann, a cui è già stata amputata una parte della gamba destra: in queste ore è stata scongiurata la necessità di un nuovo intervento chirurgico nei suoi confronti. Migliora anche un altro dei sopravissuti, il giornalista Rafael Henzel: ha lasciato il reparto di terapia intensiva e si sta sottoponendo a una serie di controlli perché presto potrebbe tornare a Chapecò, per continuare la riabilitazione in patria.
Intanto la Chapecoense deve anche asciugarsi le lacrime e pensare al futuro: la società sta formando la squadra per la prossima stagione, con i nove giocatori rimasti a casa e scampati alla tragedia perché infortunati, le migliori promesse del vivaio - che verranno promosse in blocco - e i calciatori che arriveranno dalle altre squadre e che si stanno proponendo. Alcuni anche a titolo gratuito, come l'ex Barcellona Gudjohnsen, e pure Ronaldinho (lo ha confermato il fratello-agente Assis) sta valutando se proporsi ufficialmente. La nuova dirigenza ha già scelto Vagner Mancini come nuovo allenatore e Rui Costa, omonimo dell'ex viola, come direttore generale. E' tornato a casa il preparatore fisico Marcos Chezar, che mesi fa aveva lasciato la 'Chape' per trasferirsi al Bahia, "ma ora non potevo far altro che ritornare".
Chissà se anche Neto potrà far parte della squadra della prossima stagione: presto per dirlo. Lui, probabilmente, nemmeno ci pensa. Ma solo, nella sua stanza, continua a chiedersi perché. Senza nessuno che sappia cosa dirgli.
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