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Andrea Sorrentino per la Repubblica
Cent' anni fa, il 2 ottobre 1917, il quotidiano francese "L' Auto" informa che due giorni prima, il 30 settembre, si è giocata la prima partita di calcio femminile in Francia, tra due squadre del club "Femina Sport". Sabato è stata celebrata la ricorrenza, alla presenza della ministra dello sport Laura Flessel. Nel 2019 i Mondiali donne si svolgeranno qui e Tf1 ha versato 10 milioni per l' esclusiva, in un paese che vanta 160mila iscritte e un interesse crescente: l' ultima finale di Champions tra Lione e Psg ha avuto gli stessi telespettatori della finale uomini tra Juve e Real Madrid. La nazionale francese è guidata da Corinne Diacre, 43 anni, un passato da calciatrice, e per tre anni, dal 2014 al 2017, allenatrice del Clermont maschile, in Ligue 2.
Come è nata la sua passione per il calcio?
«Mia madre dice che prendevo a calci la palla quando ancora non camminavo. Ce l' ho nel dna: padre e zii calciatori. A 6 anni ero già in una squadra. Nel 1988 arrivo nel Soyaux e ci gioco per tutta la vita, fino al 2007, ruolo difensore. E 121 presenze in nazionale, record francese».
Cos' è il calcio femminile in Francia?
«A vedere la nazionale vanno anche 6-7 mila persone, per le gare di campionato si arriva a 500 ma per i grandi match anche a 3500. C' è grande visibilità in tv. Quando giocavo io ci si limitava al passaparola. E non c' era niente: dovevamo cambiarci nello spogliatoio dell' arbitro, o arrivare già cambiate, e ci facevamo la doccia a casa. Adesso è diverso».
Ci racconti di quando nel 2014 le è arrivata la chiamata dal Clermont.
«Non fui la prima scelta. Il presidente Claude Michy, dopo aver esaminato 45 curriculum di uomini, sceglie Helena Costa. Ma lei lascia l' incarico il primo giorno di lavoro: non avverte l' ambiente giusto intorno. Michy allora chiama me. Visito il club e le strutture, parlo con tutti. Mi prendo cinque giorni per decidere. Telefono a qualche amico fidato, che mi dice "vai". Vado. Firmo per due anni, rimango tre stagioni: dodicesimo posto, settimo, ancora dodicesimo. Al secondo anno sono eletta miglior allenatore di tutta la Ligue 2. Avevamo il budget più basso del torneo, ma io sono formatrice nell' animo, mi piace crescere i giovani e lavorare col materiale che ho, vederlo migliorare giorno dopo giorno».
Molti ricordano che alla prima partita, il tecnico del Brest Alex Dupont le regalò dei fiori, e in Francia giù polemiche per il maschilismo del gesto.
«Sì, ricordo i titoli: "Si sarebbero mai offerti fiori a un uomo?". Ma era anche il mio compleanno, da qui il regalo di Dupont, che sento ancora. Al posto dei fiori avrei preferito una bottiglia di vino, ma apprezzai lo stesso. L' accoglienza negli stadi è stata sempre positiva, a parte in due o tre posti dove mi cantavano brutte cose, ma gli insulti allo stadio li prendono tutti».
Quali problemi ha affrontato in uno spogliatoio maschile?
«Quelli che mi aspettavo. Il primo anno alcuni speravano in un mio fallimento: una donna non può essere in grado di allenare gli uomini. Anche Helena Costa aveva avuto lo stesso problema. In un club non tutti remano dalla stessa parte, dirigenti compresi. I giocatori che mandavo in panchina mi erano ostili, dicevano che non capivo nulla di calcio perché ero donna. Ma erano gli stessi che andavano in panchina anche in altre squadre. La mia presenza ha anche provocato problemi di natura religiosa in qualche altro giocatore, che proprio non riusciva ad accettare la mia autorità: era un fatto culturale».
Ma lei, dritta per la sua strada.
«Coerente con le mie idee, sempre in linea con la mia condotta: la cultura del lavoro al primo posto. Niente altro. E cerco di parlare con i giovani e con le giovani, che spesso vengono ascoltati poco, invece è fondamentale farlo».
Il mondo del calcio femminile francese la sostenne?
«Senz' altro. Anche perché ebbi successo.
Se avessi fallito mi sarei ritrovata da sola: è sempre più facile avere amici quando sei vincente ».
Arsène Wenger ha detto che entro 10 anni una donna guiderà una squadra di Premier League: possibile?
«Certo, perché no? Dipende solo dai presidenti, loro decidono. La gente è molto più pronta di quanto si pensi ai cambiamenti».
Conosce Carolina Morace, l' unica altra signora ad aver allenato una squadra maschile, la Viterbese, anche se solo per due partite?
«Da anni. Quando andai al Clermont, ancora prima che accettassi, lei mi mandò un messaggio. L' ho sentita ancora pochi giorni fa. Da giocatrice, per me difensore era un incubo: segnava troppi gol Peccato che da voi il calcio femminile stenti a decollare, forse dopo Carolina e Patrizia Panico non sono arrivate generazioni buone, o forse è un fatto culturale: nei paesi latini è più dura sfondare, anche se ora la Spagna ha iniziato».
La posizione della donna, in Francia?
«Discorso complesso. Si può sempre fare di più. Molte si lamentano perché non vengono pagate quanto gli uomini, e quello in effetti è un problema. Io venivo pagata meno di altri nella Ligue 2, ma anche più di qualcun altro. Nel calcio abbiamo esempi importanti: la numero 2 e la numero 3 della Federcalcio sono donne, ed è donna la presidente della Lega, Nathalie Boy de la Tour».
Qual è il suo obiettivo alla guida della nazionale francese?
«Abbiamo i Mondiali in casa nel 2019, quindi arrivare in finale è l' obiettivo minimo, e anche la mia sfida. Sarà dura. Sento già una certa pressione addosso. Ma è la mia vita».
NAZIONALE CALCIO FEMMINILE FRANCIA
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