dotto san sebastiano

COSE MAI VISTE: GIANCARLO DOTTO IN ELOGIO DELLA JUVENTUS! - “E’ UNA SQUADRA EROTOMANE. PERSEGUE I SUOI ORGASMI ANCHE IN ASSENZA DEL PARTNER/RIVALE - DA QUALCHE ANNO IL CAMPIONATO ITALIANO È PER LEI UN VIZIO MASTURBATORIO COLTIVATO IN SOLITUDINE” - LE SCUSE CANINE A MUGHINI...

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Giancarlo Dotto per Dagospia

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Prima di tutto una rettifica. Che altrimenti Giampiero Mughini mi querela e le querele mi tolgono il sonno già da quando ero bambino. Dunque, ho scritto su Dagospia che la sua cagnetta è costretta a tifare Juventus, in caso contrario sarebbe costretta a cercarsi un altro tetto e altre tette. Falso totale. Voglio dire qui a chiare lettere che Mughini non caccerebbe il suo amato quadrupede nemmeno se tifasse Roma o persino l’odiata Inter.

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E che lui ama gli occhioni della sua cagnetta più di quelli di Max Allegri, che peraltro si somigliano nello stesso fondale di malinconia. A proposito di bianconero. Mi sveglio stamattina come Cecco Angiolieri, sillabando nella testa: “S’ì fossi gobbo, arderei ‘l mondo”. La Juventus che m’impressiona non è quella che annienta il Real Madrid.

 

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La Juventus che m’impressiona è quella che, reduce dall’impresa di Madrid, va a San Siro, nella per lei più inutile delle partite, senza i suoi migliori giocatori, e prende alla gola quelli dell’Inter con una rabbia addosso che, lì per là, risulta incomprensibile. Come i cani da combattimento che se ne fottono se c’è o no qualcosa in palio, in questo caso niente, zero. Ma lo fanno ma perché è natura che li comanda e li condanna. Nel caso di Buffon e compagni, la maglia che portano addosso.

 

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Che li destina, al novantesimo e oltre, tostissimi, bave alla bocca, a mordere le caviglie altrui come qualunque pitbull di questa terra. E’ una squadra erotomane la Juve. Persegue i suoi orgasmi non solo in presenza del partner/rivale (in amore e in guerra i due concetti coincidono), ma anche in assenza. Da qualche anno il campionato italiano è per lei un vizio masturbatorio coltivato in totale solitudine. Questo non la frena. Anzi.

 

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Domani cercherà di mangiarsi anche la Lazio. Che sia la finale di coppa Italia è un dettaglio. Cosa voglio dire? Che la maglia in certi casi è alchemica. Trasforma il vile metallo in oro, l’asino in zebra. Più o meno chiunque s’infila in quella pelle di zebra, a meno di rare incompatibilità, vedi Ogbonna e Rush, si trasforma di brutto o di bello, fate voi. Due come Giraudo e Moggi possono aggiungere tinte brutali ed estreme, ma il fenomeno li prescinde. Prendi Max Allegri. Al Milan sembrava poco più di uno zerbinotto con troppi denti (“Non capisce un cazzo”, lo liquidò Berlusconi).

 

Arriva alla Juve e diventa un incrocio tra Gengis Kan e Alessandro Magno il conquistatore. Prendi Bonucci. Arriva da Bari con la faccia e la postura della mammoletta e diventa Aiace Telamone, complice anche il suo motivatore che gli sussurra cose nell’orecchio. E Marotta? Sembrava Don Abbondio, ora fa il verso a Richelieu e il suo difetto oculare suscita sarcasmi solo nel plebeo Lotito, per tutti gli altri è una magnifica anomalia. Prendete Pirlo. Scaricato dal Milan come un rugoso fagotto pensionabile e diventa il nostro calciatore più cool nel mondo.

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O Barzagli che arriva a Torino mollato dai tedeschi, smaniosi di rispedirlo al mittente. Prendete tutti gli altri, gli Sturaro e i Pereyra. Prendete Morata, un giovinotto venuto qui solo a masticare la sua nostalgia merengue e oggi bianconero nel midollo. E lo Sfregiato. Tevez, lui belva lo è nel sangue, già nella culla. Ma prima, nella versione english, era una belva a intermittenza, che allocchiva ogni tanto in lunghi e misteriosi letarghi. Prendi Storari.

 

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Uno dei primi cinque portieri d’Italia (fenomeno assoluto almeno due volte anche nell’ultima a San Siro), un romano sanguigno che accetta serenamente di marcire da secondo, purché con quella maglia addosso. Cos’è? Una bestemmia? Un romanista incallito che fa l’elogio della Juve? Un po’ sì e un po’ no. Nella grandiosità di questa squadra c’è anche la sua ottusità. Com’è ottusa la fame permanente dei cani, la smania inesauribile di vincere ogni cosa, com’è ottuso il campione mai sfiorato e svenato dalla dolce lascivia della sconfitta.

 

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Chiunque scoppi di boria e di salute, ignorando che il gusto della vita sta nell’ottovolante dei pieni e dei vuoti. Qualcuno ancora si chiede perché Coppi sia più amato di Bartali, Federer più di Nadal e il tallone di Achille, la sua vulnerabilità, più di tutto il resto? Chiunque abbia mai letto la voluttà della sconfitta negli occhi di Roger Federer, sa cosa voglio dire. E sapete una cosa? I tifosi di ogni latitudine questo lo sanno molto bene, anche se non lo ammetteranno mai.

 

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Mai visto i tifosi laziali o romanisti così intimi ai loro colori come nelle storie accorate (l’ultima all’Olimpico, la Lazio tartassata contro l’Inter, e uno stadio intero con il cuore fuori dal torace). I tifosi juventini non sono mai stati tanto tifosi, se il tifo è patologia, come nell’anno della caduta in “B”. Senza il colore di quella disfatta non ci sarebbe il godimento in bianco e nero di oggi. Ma solo la noia pornografica della ripetizione a oltranza.