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Dario Pappalardo per “la Repubblica”
Tracey Emin chiede di rimandare l’appuntamento di un paio d’ore. La notte scorsa ha dormito poco. Come si fa a non pensare subito a My Bed, la sua installazione scandalo? Il letto sfatto con biancheria, bottiglie vuote, sigarette, preservativi e assorbenti, che la candidò al Turner Prize nel 1999. E che, l’anno scorso, è stato battuto all’asta per quattro milioni e mezzo di dollari, record per un’opera di questo tipo e per un’artista donna. Emin, nata nel 1963, è l’ex young British artist lanciata da Charles Saatchi, la collega di Damien Hirst, che ha fatto della sua vita un’opera d’arte.
Di neon, pittura, sculture e installazioni l’assoluta protagonista è sempre lei. La serie di dipinti Abortion Watercolour racconta l’esperienza dell’aborto. Death Mask è il calco in bronzo della sua faccia. Everyone I Have Ever Slept With 1963 1-995 raccoglieva in una tenda, poi andata distrutta in un incendio, i nomi di tutti quelli con cui aveva dormito. Se a Vienna il Leopold Museum la sta celebrando accanto a Egon Schiele, a Roma Emin è in mostra fino al 5 settembre alla Lorcan O’Neill con lavori inediti: gouache, bassorilievi, ricami, grandi pitture.
tracey emin alla lorcan o neill
Un neon strilla in rosa: The More of You The More I love You . La bad girl è diventata romantica. O forse non è mai stata veramente bad. Arriva in galleria abbronzata e in forma. Chiede acqua e tè ed è entusiasta per la vittoria elettorale di David Cameron: «Sono felice, sollevata. Lui ama molto quello che faccio. Gli ho regalato un mio neon, che resterà per sempre al numero 10 di Downing Street, nella collezione del governo».
Tracey Emin, cosa resta degli Young British Artist?
«Ma è qualcosa accaduto più di vent’anni fa… non mi va di parlarne più di tanto. Che fine hanno fatto quegli artisti? Damien Hirst ha realizzato in Qatar le sculture più grandi e incredibili che abbia mai visto. Sarah Lucas sta rappresentando la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia. Io sono qui. Ognuno è diventato qualcuno. Ognuno è occupato. Non ci vediamo, facciamo vite separate. Per me quel passato non conta più, conta la mia vita adesso ».
tracey emin alla lorcan o neill
La sua vita adesso è quella di un’artista quotata milioni di dollari grazie a My Bed.
«È stato fantastico. Ero molto nervosa per quell’asta. Avevo chiesto ai vecchi amici di accompagnarmi. I telefoni squillavano per le offerte. Quando l’opera è stata venduta, ho detto: “Yes!”. Tutti applaudivano. È stato un record, ma non solo per me. Per la prima volta un’installazione di arte contemporanea ha raggiunto quel livello, è entrata nel canone. Ha significato un punto di rottura. Ora è alla Tate, accanto a Francis Bacon».
Come nasce My Bed?
«Avevo passato quattro giorni a letto. Ero depressa. Pensavo alla fine. Mi ero messa a letto dopo aver bevuto di tutto. Non avevo preso droghe, però. Solo alcol. Al mattino mi sono alzata per andare a prendere un bicchiere d’acqua in cucina. Tutto era in uno stato tremendo. Sono tornata nella mia stanza, ho guardato il letto e mi sono detta: “Oddio, io ho dormito qui? Come mi sono ridotta”. È stato un punto di non ritorno. Ho iniziato a immaginare quel letto in uno spazio ampio, in una galleria, e così mi sono messa a impacchettare tutte le cose sparse intorno».
Era una provocazione studiata a tavolino?
«No, assolutamente. La provocazione non mi interessa. Ero molto naïf rispetto alla percezione dell’opera. Non mi aspettavo polemiche, tanto meno la candidatura al Turner Prize. La prima volta My Bed è stato esposto in Giappone: i visitatori ne erano disgustati, ma al tempo stesso hanno rubato i preservativi e gli assorbenti dall’installazione. A New York, invece, nulla: nessuna agitazione».
Ora è alla Tate. Ma come si “restaura” My Bed ?
«L’obiettivo è sempre quello di renderlo un letto sfatto in maniera naturale, odori compresi. Mi ci stendo sopra, premo contro il cuscino. È come vivere dentro una ghost story. Ci sono i miei fantasmi su quel letto. È come tornare indietro di quasi vent’anni e pensare che nulla sia accaduto nel frattempo».
Un saggio degli anni Settanta della femminista Linda Nochlin si chiedeva: “Perché non ci sono state grandi artiste”? Oggi lei che risposta darebbe?
«Le donne sono ancora meno potenti degli uomini. Anche se le cose in questi anni sono cambiate in maniera molto veloce. Le artiste hanno acquistato un ruolo centrale. Louise Bourgeois ha fatto molto per questo processo. Oggi ci sono tante donne che fanno arte, in molti paesi. Penso al Brasile, che è una nazione relativamente giovane, non porta il peso della storia dell’arte maschilista, non ha Picasso alle spalle. Se poi però andiamo a guardare i prezzi alle aste, le donne hanno ancora quotazioni più basse. Ma la disparità di trattamento economico riguarda tutti gli ambiti della società. Quando mi chiedono se il femminismo sia un retaggio del passato, rispondo che mentre parliamo ci sono posti in cui danno ancora fuoco alle donne».
Lei ha detto che gli uomini nell’arte, come nel sesso, hanno una sola eiaculazione e poi si fermano. Le donne invece possono vantare orgasmi multipli.
THIS IS WHAT A FEMINIST LOOKS LIKE TRACEY EMIN
«Ma è così. Gli artisti raggiungono la fase di plateau, diciamo, diventano qualcuno intorno ai quarant’anni. Dopo, la loro creatività svanisce. Per le donne è diverso. Devono fare più cose insieme. Fanno figli, sono costrette a interrompere la loro carriera. Poi però riprendono con forza e ambizione. Louise Bourgeois aveva novant’anni e le sue opere erano giovanissime. Joan Jonas, a quasi ottant’anni, è fantastica, ora rappresenta l’America alla Biennale. I galleristi cercano le old lady ».
La ragione per cui non ha avuto figli è legata all’arte?
«Sì, assolutamente. Non volevo fermarmi. Non volevo raggiungere la fase di plateau».
Il sesso è una costante nelle sue opere.
«Non faccio molto sesso in questo momento della mia vita. E ci penso. Forse, se facessi più sesso, non lo riverserei nei miei lavori. Negli ultimi dieci anni ho dipinto un pene perfetto. Non è in vendita, è mio, voglio tenerlo tutto per me».
tracey emin fa milioni coi suoi schizzi di nudo
È un corrispettivo maschile dell’ Origine del mondo di Courbet?
«Quella è una delle mie opere preferite in assoluto. Mi piace perché di quella figura femminile non vediamo la testa. Non ce n’è bisogno. È sexy così, la personalità di quella donna misteriosa emerge perfino dal pelo pubico. È chiaro che Courbet amava quel corpo e insieme quella persona. Molti si chiedono perché nei miei lavori le donne ritratte non hanno mai un volto. Non è necessario. Sono sempre io. Perché dovrei ritrarre ogni volta la mia faccia? ».
Ha chiamato selfie una serie di autoritratti ad acquerello…
«Sì, una tecnica un po’ all’antica. Non uso praticamente colori. Ho fatto selfie per tutta la vita. Ho migliaia di foto che documentano il mio corpo, i miei lavori, gli spostamenti. Oggi tutti fanno selfie per lasciare una testimonianza di sé. Vogliono dimostrare di esserci. È un modo per sfuggire alla morte. Instagram è una cosa spaventosa, a pensarci bene ».
Quando lavora?
«Nei weekend e nei giorni di vacanza. In Francia ho uno studio a Saint Tropez, vicino a un lago. Lì tutto mi viene bene perché non ho distrazioni».
In cosa è diversa dalla bad girl dell’arte degli anni Novanta?
«Prima il mio successo dipendeva da quello che mi accadeva all’esterno. Adesso dipende da quello che mi succede dentro. È una differenza fondamentale: una conquista dell’età. Sono meno arrabbiata con me stessa».
È diventata saggia.
«Posso anche essere molto stupida ».
roxie nafousi damien hirst pharrell williams and wife helen lasichanh at the tracey emin dinner hosted by phillips and vanity fair at cecconis at soho beach house
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