DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Matteo De Santis per la Stampa
Un coup de théâtre così, cinque giorni dopo aver sollevato la terza Champions di fila, non si era mai visto su nessun palcoscenico calcistico. Per la prima visione assoluta bisognava aspettare che un grande artista, prima da giocatore e poi da allenatore, come Zinedine Zidane stracciasse i triti e ritriti copioni della prosa pallonara e anche un anno di contratto: «Adieu» al Real - anche se Zizou, adottando il castigliano («Hasta luego» e «Hasta pronto»), lo infiocchetta da arrivederci - dopo 878 giorni da 9 trofei razziati su 13 (tripletta di Champions League, doppietta di Supercoppa europea e Mondiale per club più una Liga e una Supercoppa di Spagna), lo status di mai eliminato in Champions, la laurea di imbattuto in 8 finali e i galloni di secondo tecnico più vincente della storia madridista, dietro solo a Miguel Muñoz (14 titoli).
Perez: «Mi ha sorpreso»
«Ho deciso di lasciare il Real - ha spiegato Zidane -. È il momento giusto perché penso che ci sia bisogno di cambiare per continuare a vincere. Dopo tre anni insieme servono altre persone, altre metodologie di lavoro e altri discorsi. È un cambio necessario per tutti: per me, la squadra, la società e la tifoseria. Siccome sono un vincente preferisco andar via ora». Applausi di gratitudine e lacrime di incredulità dalla platea del tifo madridista. Giocatori non avvisati (tranne il capitano Sergio Ramos), molto dispiaciuti e in qualche caso, leggasi lo scontento Cristiano Ronaldo, anche furenti nei confronti di Florentino Perez. «La decisione di Zinedine, inattesa, ha sorpreso anche me. Non c’è stato verso di fargli cambiare idea» è stata la pubblica giustificazione presidenziale. Avvenuta come da giocatore, con ancora un anno di contratto, l’uscita di scena di Zidane, spiattellata mercoledì a Florentino Perez e al dg José Anguel Sanchez, esula dalla normalità anche per modi e tempi. Troppi sospetti, secondo alcune malelingue madrilene, per non nascondere qualcosa.
La panchina dei Bleus
«Decisione presa da tempo, non dico quando, ma non influenzata dall’ultimo sfogo di Cristiano Ronaldo» specifica senza chiarire Zizou. Parole che non cancellano i pettegolezzi di rapporti ridotti ai minimi termini, causati dalla rifondazione estiva sbandierata ai quattro venti nel mezzo della stagione da Florentino, dai mal di pancia (diversi) di Bale e Ronaldo e dal caso Kepa, il portiere praticamente acquistato a gennaio dal presidente-padrone e rifiutato dal totem-allenatore (che a maggio ha fatto esordire tra i pali il figlio Luca). Di fatto ora il Real è alla disperata ricerca di un tecnico. Il sogno, neanche tanto segreto, sarebbe Mauricio Pochettino, fresco di rinnovo con il Tottenham fino al 2023 ma non insensibile a un’eventuale chiamata. Le alternative sono il ct tedesco Joachim Löw, da sempre seguito con attenzione, il neo disoccupato Arsène Wenger e le soluzioni interne Guti e Solari. Sullo sfondo, anche se condizionato dal lieto fine del bizzarro triangolo Chelsea-Sarri-Napoli, emerge anche la sagoma di Antonio Conte. Nel futuro di Zidane, nonostante gli spergiuri del diretto interessato («Non cerco una squadra, non voglio allenare»), c’è un destino apparentemente scritto: la panchina della Francia, prima o poi. Forse già subito dopo i Mondiali.
florentino perez cristiano ronaldo
2. IL LUSSO DI DIRE "ME NE VADO" A PEREZ
Andrea Sorrentino per la Repubblica
Per capire cosa sia davvero il Real Madrid, e cosa voglia dire allenarlo, basti sapere che Zinedine Zidane sarebbe stato esonerato se non avesse vinto la finale di Kiev. Era lo scenario più probabile in caso di sconfitta, nonostante avesse vinto le due precedenti Champions League, perché i suoi rapporti con Florentino Perez si erano guastati da mesi.
Nessuno dei due ne poteva più.
Invece a Kiev il Madrid ha battuto il Liverpool e Zidane diventa così il primo allenatore dell' era-Perez a dimettersi, mentre i predecessori erano stati tutti cacciati: una magnifica giocata in controtempo, come quando caracollava palla al piede e mai capivi dove sarebbe andato. Per questo il volto di Florentino, ieri, era terreo per il dispetto.
Zizou ha resistito alle pressioni del "presi", come lo chiama lui, in tema di giocatori e di gestione, e quello è stato il vulnus. Tra i vari dissidi ha rifiutato l' acquisto del portiere Kepa, con firme già pronte, perché lui difendeva il suo Keylor Navas; ha provato a promuovere secondo portiere suo figlio Luca, ma Perez si è messo di traverso, ci sono state liti furibonde; ha sempre respinto le intromissioni su Cristiano Ronaldo, o sulla crisi della prima parte della stagione. Alla squadra penso io, diceva Zizou, per lo scorno di Florentino, che vedeva sempre più rifulgere la stella del suo allenatore, e sempre meno la sua. Come ai tempi di Ancelotti.
Poi il Madrid del terzo anno di Zidane è stato opaco, chiaramente in calo: fuori dalla Liga già in autunno, in Champions è arrivato al traguardo ma tra molte zoppie, aiuti e aiutini dalla sorte e dagli arbitri, fino all' infortunio di Salah in finale. Insomma era tutto pronto per il colpo di scena, solo che è stato quello che Florentino non si aspettava. Zidane se ne va dopo 878 giorni (Mourinho resistette per 1097) che nessuno dimenticherà mai, perché tre Champions vinte in due stagioni e mezza sono un record irripetibile, assurdo. Ma al tempo stesso Zizou ha avuto la freddezza e l' intelligenza di sfilarsi nel momento migliore, quando ha capito che dopo ci sarebbe stato soltanto il diluvio, e niente più crescita.
ZIDANE SALUTA LA COPPA DEL MONDO 2006
Perché il Madrid è un mostro che tutto divora, persino i vincenti come Zidane, figurarsi i perdenti o gli esitanti. Perché è il Madrid, ossia il club più importante del mondo, e perché lo guida Florentino, un grande imprenditore e un grande presidente, ma bizzoso e geloso dell' altrui popolarità, quando vede il suo trono in bilico. I grandi sono anche così.
Ora Zizou si concede il lusso di un anno sabbatico, almeno. A meno che dopo i Mondiali la patria, ossia la Francia, non chiami. Lui non aspetta che quello, dicono.
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