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Dal “Critico come artista” di Oscar Wilde si è passati oggi al finanziere come artista. E’ la tesi di un libro di Pierluigi Panza, studioso d’arte e giornalista del “Corriere della Sera”, a suo agio con l’osservazione dei poteri forti e marci. Le tesi contenute nel suo libro provocatorio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria” (Guerini editore) - che fa il verso al celebre saggio di Walter Benjamin – nascono dall’osservazione dei fenomeni contemporanei (Biennali, Triennali, Documenta, grandi mostre delle maison di moda, di Pinault ecc) spesso illustrate anche da Dagospia.
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Si diventa artisti-celebrity se si è sostenuto dal potere finanziario che costruisce intorno a te consenso. Il sistema usato per far questo è quello che il mondo della moda utilizza da anni per spacciare degli stracci come capolavori: pressione sui giornali, inviti, serate, celebrity intorno a te che creano un capitale di visibilità sull’artista e sull’opera.
Opera che ha solo un valore immateriale, è un bond, un derivato finanziario come hedge fund o future sul quale un locupletato collezionista scommette come scommetterebbe su un titolo del new-economy o spende i soldi come li spenderebbe per comprare Cristiano Ronaldo per la sua squadra di calcio.
Non ha caso questi scommettitori, che poi devono sostenere il peso del valore investito inventando consenso sull’artista, sono maison di moda o gli stessi proprietari di imperi finanziari o squadre di calcio come Abramovich o come la sceicca Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa al-Thani - sorella dell’emiro Al-Thani proprietario del Paris Saint Germain.
lady gaga poses naked with a blue ball for jeff koons lb
Gli artisti hanno capito il giro del fumo e in questa paperopoli, dove uno cerca di fregare l’altro con i rischi che la bolla si sgonfi come avvenne nel 2008 (quando la crisi dei subprime innescata da Madoff mise in crisi il mercato dell’arte), ci sguazzano.
Per alcuni, come Koons e Murakami, l’opera è diventata lo strumento per aprire società di mass-market attraverso le quali vendere oggetti con il proprio marchio: si pensi alla Kaikai Kiki Co. di Murakami per la produzione di gadget, t-shirt, caramelle e costosissime borse Louis Vuitton.
Damien Hirst ha venduto in una sola asta 223 opere degli ultimi due anni per 198 milioni di dollari: un’opera ogni tre giorni, prodotti seriali. Julian Schnabel, ex compagno della “giornalista-impegnata” Rula Jebreal (la famosa “gnocac senza testa” non si è mai capito se detto da Filippo Facci o Giulio Sapelli), che ha venduto a Richard Gere una sua opera per sommare celebrity a celebrity.
Vabbé, ma l’opera, si dirà? Quella non c’entra, e solo un coupon, una rappresentazione effimera, un oggetto rituale per una partecipazione (vernissage, serate). Meglio, però, se l’artista usa forme espressive divenute ormai retoriche: crudeltà verso gli animali, presa in giro delle religioni, messa in scena del corpo dell’artista per creare choc o ipocrita denuncia impegnata. E meglio se l’artista sia apolide, bizzarro e, naturalmente, adatto per essere cooptato nella lobby giusta.
Julian Schnabel Julian Schnabel full julian schnabel arts schnabelpjs z koons a firenze e
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