LE VIE DEL MERCATO SONO INFINITE (QUELLE DEL SIGNORE PURE) - PRIMA L’ACCORDO SFUMATO CON LA JUVE E IL CONTATTO COL REAL MADRID, POI L’INFERNO DEI DILETTANTI, D’AGOSTINO RIPARTE DALLA LEGA PRO E DA CRISTO

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Francesco Saverio Intorcia per “la Repubblica

 

Gaetano 
d’Agostino 
Gaetano d’Agostino

Le vie del mercato sono infinite. Quelle del Signore pure. Gaetano D’Agostino s’allena nascosto da un berretto rosso, ma il piede di velluto ne svela la classe antica, ora che gioca nel Benevento, in Lega Pro, e la B è una meta, non una buca da schivare. I compagni fanno la solita domanda, ci è abituato: «Dài, raccontaci del Real».

 

Perché lui, nell’estate del 2009, fu della Juve e poi del Real Madrid: invece restò a Udine, mistero mai chiarito. «La verità la sa Gino Pozzo e non me l’ha mai detta. Per anni ho tenuto nel comodino i fogli già firmati con la Juve, quasi 10 milioni in 5 stagioni. Poi l’Udinese pretese Marchisio, Giovinco, De Ceglie: saltò tutto.

 

MARCELLO LIPPIMARCELLO LIPPI

Pochi giorni dopo ero del Real: il mio avvocato Paolo Rodella ha ancora i biglietti del volo che non presi mai. A Madrid andò Xabi Alonso, alla Juve Melo: 25 milioni per un mediano, figuriamoci».

 

Quelli che l’Udinese chiedeva per cedere lei: 25 milioni.

«Li valevo tutti, ero in azzurro con Lippi. Mi fossi chiamato Dagostinovic o Dagostinho, racconterei un’altra storia. L’anno dopo andai a Firenze, ma Corvino, astioso verso di me, non volle riscattarmi».

 

Nell’estate 2014, sparito il Siena, lei approda all’Andria, in D: “Me l’ha detto Dio”. C’è rimasto due mesi.

«Il fallimento mi ha lasciato ferito e disoccupato, in un giorno ho perso due milioni. Volevo mollare. Giocando con mio figlio, però, mi emozionavo ancora. Sono ripartito dai dilettanti, grato all’Andria, anche se ora lì mi danno del mercenario. Perché poi a dicembre è arrivato il Benevento, in Lega Pro: ho scelto una piazza sana e un progetto fra i più seri in Italia, mi ha convinto il presidente Vigorito. I soldi non c’entrano, guadagno 50mila euro. Il mio Real è il Benevento, è la mia seconda vita, provo a risalire».

Bonaventura Bonaventura

 

Ci sono ancora talenti in Italia?

«Sì. Bonaventura è un gioiello, adoro Insigne, per tecnica e duttilità, poi Immobile e Destro. Il più forte? Verratti. Se Inter, Roma o Milan gli avessero dato metà dei soldi del Psg sarebbe rimasto. Ho fiducia nei giovani, a Firenze avevo aperto una scuola calcio con tecnici laureati, l’ho lasciata per tornare a giocare.

 

In giro vedo più osservatori che campioni, molti sono incompetenti: considerano i talenti come un bancomat. Chi gestisce un ragazzo dovrebbe innanzitutto volergli bene, siamo circondati da squali che ti sbranano e poi cercano nuove prede ».

 

Balotelli all’estero ci è andato: lo invidia?

«Deve ancora dimostrare il suo valore, non ha mai fatto 20 gol. Lo seguo più adesso che è in difficoltà. Mi auguro si emozioni ancora col pallone. È l’unica cosa che può salvarlo».

verratti e balotelliverratti e balotelli

D’Agostino è stato salvato da Dio?

«Ho riscoperto la fede tramite Legrottaglie. Leggo la Bibbia, parlo al Signore: è il papà con cui mi lamento o che ringrazio, il fuoriclasse che mi stupisce con una giocata. Ma non predico nello spogliatoio, sarei pesante. Sono un peccatore pieno di difetti, lavoro per migliorarmi. Ho visto Benigni in tv, dico che tanti comandamenti valgono per noi: non rubare un rigore, non dire falsa testimonianza all’arbitro, non desiderare la donna di un compagno...».

 

 

È vero che frequentava maghi e fattucchiere?

«Se sul navigatore digiti ‘Paradiso’, la prima volta ti porterà a una trattoria con quest’insegna. Io ho sbagliato strada tante volte. A Catania conobbi un santone, mi spiegò che i miei guai li causava mia moglie, lei Leone, io Gemelli: dovevo lasciarla».

E cos’ha fatto?

«Ho lasciato il santone».

 

Cosa le fa paura, oggi?

Gino PozzoGino Pozzo

«Mi fa orrore la violenza. Sulle donne, in particolare».

È un Atleta di Cristo, ieri era un picciutteddu.

«In strada allo Sperone, ogni giorno un torneo. Io pupillo di tutti, cinque anni, un gran sinistro: mi chiamavano Bombolino, ero cicciottello. Giorni duri, però felici».

 

Nel ’94 suo padre Giuseppe, arrestato con i boss Graviano e poi pentitosi, dichiarò d’essersi avvicinato a Cosa Nostra per far raccomandare suo figlio per un provino al Milan. Quanto l’ha condizionata questa storia?

«Molto, troppo. Un bimbo di 8 anni non si raccomanda a scuola, figuriamoci al Milan. Quel che ho avuto, l’ho sudato: non sarei arrivato in Nazionale. Mio padre era il mio primo procuratore, critico, fan: per portarmi via da Palermo ci ha rimesso tutto e si è fatto la galera, con dignità.

 

Ambulante d’abbigliamento con due amori: il lavoro e il calcio. Ha commesso un grave errore: rovinarsi la vita per salvare la mia. Non voleva che finissi come tanti coetanei. Senza il calcio, nel migliore dei casi, venderei al mercato. Nel peggiore, non lo so».

marchisiomarchisio

 

In Spagna scrissero: ’Il giocatore minacciato dalla mafia’.

«Esagerati. Non mi ha mai minacciato nessuno, e all’epoca Cosa Nostra non aveva bisogno di minacciare, tant’era potente. A Palermo sono tornato da avversario, al quartiere Libertà mi dicono di salutare Geppino, mio padre. Terra particolare, la mia: araba, normanna, antica più di Roma. L’ho lasciata a 12 anni, continuo ad amarla».

 

Cos’è il calcio per lei?

«È bellezza. Armonia di piccole cose. La perfezione di una punizione. La cura nel battere un corner. E, quando mando in gol un compagno, il senso di libertà che provo ancora».