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EBBENE SÌ: ART BASEL SI FA ANCHE A BASEL - DOMANI APRE LA 46^ FIERA DI BASILEA, A SOLI DUE MESI DALLA 'TAPPA' DI HONG KONG, ASPETTANDO QUELLA 'BLING BLING' DI MIAMI - TRECENTO GALLERIE, QUATTROMILA ARTISTI, OTTO SEZIONI A TEMA

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Stefano Bucci per “La Lettura - il Corriere della Sera

 

ryan mcginleyryan mcginley

Sono fiere come musei. O, in alternativa, come vetrine o come passerelle da esibizione, molto ben frequentate e molto glamour, dove le tendenze di mercato sembrano venire più inseguite che anticipate, magari sull’onda dell’ultima Biennale di Venezia o dell’ultima retrospettiva dedicata, tanto per fare un nome, a Takashi Murakami. Ancora pochi giorni e prenderà forma «Art Basel», edizione 2015 (la 46esima), fiera nata nel 1970 con l’idea «di stabilire un contatto dinamico tra gallerie, artisti, collezionisti, musei, fondazioni e istituzioni», ma diventata con il tempo (a seconda dell’immaginazione del cronista) l’«Olimpiade dell’arte contemporanea», la «Mecca del moderno», il «più bel museo temporaneo del mondo».

 

Oltretutto sorprende che «Art Basel» arrivi solo poco dopo la consorella «Art Basel Hong Kong» (15-17 marzo) dove tra i compratori sono sfilati celebrities come Susan Sarandon, Gwyneth Paltrow, Dita Von Teese e il multimiliardario cinese Zeng Fanzhi (60 mila presenze contro le 65 mila annunciate, ma con un giorno di apertura in meno rispetto all’edizione 2014).

 

do we dream under the same sky do we dream under the same sky

Cosa si è venduto di più? I soliti noti: Damien Hirst, Chris Ofili, Richard Serra, Keith Haring, Ai Weiwei. Più qualche emergente (soprattutto locale): Xu Bing, Samson Young, Atsuko Tanaka, ma anche il tedesco Neo Rauch. «Quest’anno — ha spiegato Larkin Erdmann, direttore della Galleria Massimo de Carlo di Milano-Londra — abbiamo visto crescere l’attenzione dei collezionisti orientali nei confronti di nomi meno istituzionali». Gli orientali, dunque, crescono.

 

NUOVI PERCORSI

Forte dei suoi 90 mila visitatori per edizione, «Art Basel» propone un calendario come al solito ricchissimo e scintillante (con tanto di una doppia giornata, quella di martedì 16 e mercoledì 17 dedicata esclusivamente ai grandi collezionisti), proprio come deve essere una vetrina: per ora, oltre l’installazione dedicata «al tema dell’accoglienza» ( Do We Dream Under the Same Sky del gruppo guidato da Rirkrit Tiravanija ) collocata nella Messeplatz, proprio davanti alla fiera (con tanto di erba e giardino), sono annunciate trecento gallerie, quattromila artisti da tutto il mondo, otto sezioni a tema ( Galleries , Feature , Statements , Edition , Unlimited , Parcours , Film , Magazines).

 

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Il tutto con un allestimento rinnovato: «La nuova disposizione è più coerente, il pubblico non ha più tanto tempo e non vogliamo che lo passi a capire come muoversi tra gli stand», chiarisce il direttore Marc Spiegler. Anche se può rischiare di sembrare più un parco di divertimenti che una fiera d’arte contemporanea.

 

Un parco per i divertimenti che evidentemente fa comunque molta gola a collezionisti e galleristi: considerato che non è ancora iniziata, già si parla della prossima edizione della consociata «Art Basel Miami» (dal 3 al 6 dicembre) e vengono annunciati i rispettivi programmi di «Frieze London» (dal 14 al 17 ottobre) e di «Artissima Torino» (dal 6 all’8 novembre), fiere forse più creative e trasgressive ma con un pubblico economicamente interessante, lo stesso a cui si rivolgono quei saloni «satelliti» di «Art Basel» come «Volta 11», «Liste» e «Scope».

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EFFETTO MUSEO

Se un tempo in una fiera d’arte contemporanea si cercava la novità, oggi le gallerie sembrano piuttosto voler capitalizzare il risultato delle retrospettive che i musei hanno dedicato ai loro stessi artisti. «Art Basel» non fa eccezione: Blum & Poe Gallery (con sedi a Los Angeles, New York e Tokyo) propone per questo una serie di tele di Jim Shaw (classe 1952, quindi non certo un esordiente) proprio in contemporanea con la mostra che gli sta dedicando il Massachusetts Museum of Contemporary Art (Entertaining Doubts, fino a gennaio).

 

E ancora: le grandi tele di Mary Weatherford arrivano sull’onda del successo della mostra che vede protagonista l’artista al Moma di New York; The Refusal of Time al Met sembra aver fatto da traino (se mai ce ne fosse stato bisogno) al lavoro di William Kentridge che figura nel pacchetto della Marian Goodman Gallery. E sempre sull’onda di grandi retrospettive sembrano arrivare le proposte di Pierre Huyghe, Mike Kelley, David Hammons, Bruce Nauman.

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EFFETTO BIENNALE

Ci si può persino spingere oltre e parlare, giustamente, di effetto «Biennale Venezia», un effetto che quest’anno sembra essere stato utilizzato anche dai galleristi presenti a «Frieze New York» (che si è tenuta dal 14 al 17 maggio proprio a ridosso dell’apertura, anticipata, della Biennale) oltre che, come da tradizione, da quelli di «Art Basel», che hanno portato qui molti degli artisti presenti in Laguna: da Joan Jonas a Isaac Julien (che per la Biennale ha curato la lettura pubblica del Capitale di Marx), da Katharina Grosse a Olaf Nicolai.

 

Sempre sull’onda della Biennale arrivano dalla Galleria dello Scudo (una delle quindici italiane) anche nella sezione Unlimited, votata alle opere monumentali, 109 dipinti di Emilio Vedova esposti per la prima volta in tutta la loro interezza, «l’unica installazione di pittura esistente di un artista del XX secolo».

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EFFETTO ASTE

Alcune delle opere in fiera a Basilea arrivano sull’onda dei grandi risultati ottenuti (soprattutto nelle evening sales newyorkesi) in questa fase della stagione. Ulteriore dimostrazione di quello che Giuseppe Berta e Luca Beatrice hanno teorizzato in un saggio dal titolo Money! (Corraini): la loro teoria? Che il mercato dell’arte sia ormai un mercato più che globalizzato dove i ruoli di artisti, galleristi, battitori d’asta, curatori di biennali e di musei sono ormai imprecisati e imprecisabili.

 

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Tra le opere che arrivano sull’onda delle aste: Les Dormeuses (1965) di Picasso, un busto di Giacometti (recentissimi detentori del record assoluto di vendita per dipinti e sculture), classici come Schiele. Ma anche dell’altro: sull’onda del milione e seicentomila euro clamorosamente ottenuti da Christie’s Londra con la sua Intersuperficie curva bianca (1967) arriva ad «Art Basel» per la Galleria Tornabuoni, con quattro opere, il fiorentino Paolo Scheggi (1940-1971), giovane talento del gruppo di Fontana, Alviani, Bonalumi, Castellani, Manzoni. E sull’onda degli eccellenti risultati (sei milioni di dollari per una sua Torsione del 1968) la galleria Tucci Russo porta l’Arte Povera di Giovanni Anselmo: Verso Oriente 300 milioni di anni (1978).

 

MENO COCKTAIL

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Basilea non è Miami: quindi meno cocktail e meno feste, eppure «la fiera riesce a rendere molto frizzante persino una città così tranquilla». Più intellettuale e meno mondana rispetto alla Florida, anche se, secondo Max Hollein, direttore dello Stadel Museum di Francoforte, «l’infinita quantità di ricevimenti e cene fa sembrare ormai molto simili le Biennali e le fiere d’arte e non c’è poi molta differenza tra passare da qui o dall’Arsenale» (considerato che oltretutto i mercanti tendono a finanziare la produzione, il costo e il trasporto delle opere per la Biennale).

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Altrettanto fluido è anche il percorso che dalle fiere porta ai musei che, almeno in questo caso, sfruttano l’«effetto fiera»: alla Beyeler, tanto per fare un esempio, attualmente sono in corso due mostre, una su Gauguin e un’altra su Marlene Dumas. Sarà un caso che si tratti ancora una volta di artisti super quotati: Gauguin e il quadro più caro del mondo, Dumas e una delle donne artiste viventi più pagate? O non sarà l’ennesima dimostrazione di quanto sia ormai fluido e indefinibile il mercato dell’arte?

 

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