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Gianni Clerici per “la Repubblica”
«Ho capito perché mi hanno rivenduto il biglietto allo stesso prezzo» ho sentito mormorare un bello spettatore, sicuramente un aficionado, a giudicare dalla cravatta con i colori del Club verde e viola. «Perché, scusi?» mi sono incuriosito. «Giocano tutte allo stesso modo, sembrano prodotti industriali di una catena di montaggio. Specie quelle dell’Est».
«Per fortuna ci sono ancora le Williams, tutte e due in semifinale» ho osservato. «Chissà se non hanno cominciato proprio loro?» ha affermato lui e, mentre scrivo, ancora me lo sto chiedendo.
Cominciarono infatti loro, con il rovescio bimane, e con un gioco nel quale la forza, l’atletismo, contava di più che una mano sapiente, un tocco simile a una pennellata, cose da Maureen Connolly o Maria Ester Bueno.
Mi viene in mente la prima volta che vidi Venus. Non sono pedofilo, ma nella mia esperienza di critico d’arte fui subito spinto ad ammirare quella ragazzina, ancora ignota se non al mio carissimo amico Bud Collins, del Boston Globe, il miglior scriba americano.
«Andiamo a vedere la futura numero uno mondiale» mi disse e, dall’aeroporto di Logan volammo a Los Angeles, poi in taxi nel sobborgo di Compton, dove su un campaccio di cemento incrinato un signore che sapeva a stento palleggiare ci mostrò le qualità della sua bambina: assistita, come raccattapalle, da una sorellina più piccola.
La visita terminò quando l’omone chiese alcune centinaia di dollari al mio amico, e questi giustamente li rifiutò, affermando che la sua column avrebbe offerto sufficiente pubblicità alla «futura number one del mondo» come affermò quella specie di Trump nero.
Cominciò da quell’ignoto pomeriggio la storia che sarebbe divenuta l’Epopea delle Williams, una storia che ha ora raggiunto 27 match (16-11 per Serena), anche se il regista non è più presente insieme all’autrice, la mamma Oracene detta Brandy, quella a cui Richard nascose gli antifecondativi. Cinque Slam a Wimbledon per Venus, su un totale di 7, e 6 per Serena, su un totale di 21.
Due semifinali da superare, per Serena contro la Vesnina (50), per Venus di fronte alla Kerber (4). Non è che quel loro stile fosse divenuto quello oggi imperante, lo stile prodotto da famiglie di professione sportive, miranti al guadagno, molto più facilmente raggiungibile nella società occidentale.
Lo stile delle loro avversarie odierne, la Shvedova, battezzata col predestinato nome di Jaroslava (Drobny), mamma mondiale di maratona, papà allenatore atletico. E la Pavlyuchenkova, prodotta da una famiglia con nonna cestista, padre canoista, mamma nuotatrice. Era però una trovata importante, qualcosa che atteneva maggiormente ai muscoli, all’atletismo, alle nuove racchette che avrebbero trasformato il gioco del tennis nello sport del tennis.
Mi domando ora se sia il caso di ricordare dettagli già ascoltati dai lettori aficionados sui siti che, anche qui, sono ormai rappresentati dalla maggioranza dei presenti sui banchi. Mi domando se sia il caso di ricordare che Venus sia ritornata su nel secondo set da 2-5, anche per l’emotività che ancora è parte determinante di uno sport individuale.
Mi domando se sia il caso di ricordare che la Serena vista nella storica partita contro Robertina Vinci soffre ancora di improvvisi offuscamenti, non so se mentali o muscolari, ai quali il suo ormai famoso coach Mouratoglou l’ha consigliata di ovviare con scambi che chiamerei uno-due, come quelli della boxe. Non so nemmeno come si possa azzardare un pronostico per la il possibile futuro incontro sorellicida, la cui somma di 27 indica finora una prevalenza di 16-11 per Serena.
Nel far rileggere queste righe, come sempre, a un mio collega che si offre di farmi da editor, mi sento dire: «Ma la storia di Venus che poteva essere italiana?». Ricorderò allora che accadde a un giovane studente, autista sulle auto ufficiali destinate, durante gli Internazionali, al trasporto dei tennisti.
Il giovane propose a Venus di visitare la sua città, una bella città sull’Adriatico. Venus accettò, gradì i luoghi quanto il guidatore, e addirittura lo aiutò più tardi a laurearsi negli Usa. Questa è la storia, ma non ne ho mai conosciuta la fine. Venus, e sua sorella, sono ancora single.
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