DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera”
Sugli arbitri non saremo mai d' accordo perché decidere è un'operazione di parte. Per evitare la discussione abbiamo fatto tutto quello che sembrava possibile: gli arbitri sono diventati professionisti, hanno seminari settimanali, sono un'unione che risponde al loro presidente e non alla Federazione. Cioè sono indipendenti come auspicato per 80 dei 90 anni di campionato a girone unico.
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Ora si comincia a pensare che l'indipendenza sia un'arma a doppio taglio, che costruisca corporazioni senza memoria e con interessi variabili. Si è così reintrodotta la regola che l'arbitro che sbaglia contro una squadra non l'arbitrerà più per molto tempo. Una vecchia legge del taglione che è alla base della maggior parte dei sospetti di questi 90 anni. Un arbitro fa carriera se arbitra grandi partite. Per arbitrarle non deve farsi «squalificare» dalle grandi squadre. Per non farsi squalificare non deve scontentarle troppo.
Questo non è un sospetto, è la regola. E alla fine è ancora la grande società che sceglie da chi essere arbitrata. È un errore anche pensare che la Var sia scienza. Non lo è. La scienza dà risposte esatte, o sì o no. La Var è solo tecnica che può falsare la vita. Più rallenti un' azione e più la cambi. Se guardo una mano al microscopio non vedo dita, vedo un mostro. Non cambia in sostanza il problema di fondo: dobbiamo continuare a fidarci degli arbitri. La Var è un moltiplicatore di arbitri, non un taglio. Ma la discriminante resta: se non mi piace come arbitri, non mi arbitri più.
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Quella è la vera libertà, non tocca a noi scegliere il nostro giudice. Dopo due anni di sperimentazione la confusione è aumentata perché le regole non sono uniformi. La Var ha vinto, non si potrebbe più farne a meno. Ma stanno perdendo gli arbitri che cercano di personalizzarla.
Gli arbitri sono figure elitarie, quindi molto sottoposte al bisogno di compromessi, vittorie e rivalse, quando non agli interessi dell' intera azienda. Dobbiamo ora scegliere in due, loro e noi. Loro di darsi un protocollo comune, regole certe e universali, tutti nel dubbio guardano tutto, non una volta sì e una no. Noi di capire che le nostre reazioni sono un' altra parzialità, perché un tifoso è di parte. Ma abbiamo diritto a essere trattati tutti alla stessa maniera. E aspettarsi molto di più da Nicchi e il suo mondo.
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