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Francesco Volpe per “Il Corriere dello Sport”
I francesi non s’incazzano più. Anzi, a dirla tutta, magari fanno grasse risate. La Marsigliese risuona su tutti i podi dello sport, Mameli sta diventando una rarità da collezionisti. Allez les Bleus e azzurro tenebra su tanti, troppi fronti. Non ingannino il Nibali che stravince il Tour o le “Cichi” di Wimbledon. Magnifiche eccezioni. E neppure i trionfi europei di nuoto (tanti) e atletica (un paio).
Il palcoscenico mondiale e, di riflesso, olimpico è un’altra cosa. Ed è lì che si misura la nostra e altrui nobiltà. In attesa che il 2014 consumi gli ultimi eventi iridati (ciclismo, ginnastica, boxe, volley femminile i principali), siamo andati a riprendere i medaglieri dei Mondiali di quest’anno o, in caso non fossero in cartellone, del 2013.
L’analisi è stata sconfortante: nelle specialità incluse nel programma olimpico di Rio 2016, i nostri atleti hanno conquistato 4-ori-4. I “cuginetti” francesi sono a 20, gli inglesi a 13. Insomma, se l’Olimpiade si fosse disputata negli ultimi mesi, lo sport italiano sarebbe tornato ai livelli di Montreal 1976, quando solo l’invincibile Klaus Dibiasi dalla piattaforma e la sorpresa Fabio Dal Zotto nel fioretto ci risparmiarono un imbarazzante “zero” nella casella vittorie.
Il tutto senza considerare il flop invernale di Sochi: erano 34 anni che non chiudevamo le Olimpiadi bianche senza allori. Altro che G8 dello sport, siamo sull’orlo della Serie B. A Londra 2012 a quota quattro medaglie d’oro stazionavano l’Iran e la Corea del Nord... Crisi. Clemente Russo (boxe), Arianna Errigo e Rossella Fiamingo (scherma), Petra Zublasing (tiro a segno): questi i nostri campioni del mondo in specialità olimpiche nel biennio 2013-14 (nelle discipline con Mondiali annuali abbiamo considerato l’ultimo). A dirla tutta ci sarebbe anche l’oro del Dream Team delle fiorettiste, che però a Rio non andranno in ossequio all’assurdo turn-over delle prove a squadre.
SARA ERRANI AGLI INTERNAZIONALI DI ROMA
L’altra faccia della medaglia è il vuoto di tanti sport di tradizione. Il canottaggio è aggrappato al doppio (non federale) di Fossi-Battisti e spera nel rilancio di Milani e Sancassani, iridate 2013 finite ultime ai recenti Mondiali. La canoa, persa la foglia di fico della Idem, è rimasta nuda. Lo judo non sale su un podio iridato da cinque anni (Verde). L’equitazione è rimasta ai D’Inzeo, o quasi, malgrado la squadra di salto sia tornata nella Serie A di Coppa del Mondo.
A squadre il quadro non migliora. A fronte della pallanuoto, capace di restare competitiva malgrado l’inevitabile rinnovamento, c’è il basket che non disputa i Mondiali dal 2006, il volley maschile che non andava così male da 32 anni, il calcio che ha fallito due fasi finali consecutive della Coppa del Mondo (non accadeva dal 1966). Neppure pervenuto il rugby a 7, dove siamo all’età della pietra, mentre l’hockey su prato almeno sta tentando di uscire dall’anonimato con le ragazze e il progetto “Road to Rio 2016” (24 atlete in collegiale a Roma fino a dicembre 2015!).
Discorso a parte per atletica e nuoto, le regine dell’Olimpiade. Su piste e pedane il quadro è desolante. L’oro europeo della Grenot sui 400 vale, se va bene, una finale olimpica, mentre Meucci è ancora tutto da verificare a livello mondiale. Le piscine sono isole felici, anche se le 18 medaglie di Berlino potrebbero ridursi a tre o quattro su scala planetaria. Paltrinieri, Detti, la Bianchi, i velocisti della 4x100 lo specchio, Pellegrini a parte, di un movimento in salute. Come la scherma, la boxe e il tiro a volo, anche se quest’anno ha fatto flop, con la formidabile Jessica Rossi all’asciutto dopo l’en-plein del 2013. Confronto.
Certo, comunque la si giri, il paragone con le altre potenze dell’Europa occidentale è impietoso. Francia e Gran Bretagna, per decenni al nostro livello (se non sotto), oggi appartengono a un altro pianeta. E se il boom britannico era prevedibile dopo l’assegnazione a Londra dell’Olimpiade 2012, con Downing Street che nel 2005 stanziò l’equivalente di 650 milioni di euro per il rilancio del Team UK, l’esplosione francese è frutto di una cultura sportiva avanti anni-luce rispetto alla nostra e di una pratica capillare nella scuola e nella società.
L’arretratezza del sistema- Italia in questo senso è atavica, ma in passato l’eccellenza della scuola tecnica di tante discipline e la possibilità di godere di finanziamenti governativi abbondanti e sicuri ci avevano permesso di tenere il passo. L’esplodere e il perdurare della crisi, con la fuga dei tecnici e il taglio delle risorse, hanno portato a galla i nostri limiti strutturali.
Un modello è andato in crisi e ora il nuovo Coni di Malagò è chiamato a indicare una rotta alternativa. Che a lunga scadenza passa obbligatoriamente per una seria pratica sportiva scolastica, ma nell’immediato richiede un controllo più stretto sui progetti e sui risultati delle federazioni.
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