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Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera - La Lettura”
Sono stati giorni di gloria, per Parigi: nella stessa settimana si sono tenuti la Fiac (Fiera internazionale di arte contemporanea) al Grand Palais e alla Città della moda, la riapertura del museo Picasso dopo cinque anni di lavori e polemiche, e l’inaugurazione della Fondation Louis Vuitton nel nuovo spettacolare edificio di Frank Gehry al Bois de Boulogne.
In un momento di crisi economica, politica e morale della Francia, Parigi è sembrata diventare la capitale dell’arte contemporanea e questa circostanza non è sfuggita alla classe politica: il premier Manuel Valls e la ministra della Cultura Fleur Pellerin hanno percorso assieme gli stand della Fiac, che per la prima volta ha ricevuto anche la visita del presidente della Repubblica, François Hollande. Occorreva mostrare ai francesi e al mondo che i politici sanno dare il giusto valore all’arte, specie quando è in grado di muovere ingenti capitali.
Dal 23 al 26 ottobre la Fiac ha ricevuto oltre 74 mila visitatori, che hanno osservato — e talvolta comprato — le opere riunite in 191 gallerie (48 francesi e 143 straniere). Uno dei primi obiettivi, superare almeno in numero di visitatori la rivale Frieze a Londra (69 mila), è stato raggiunto. La moltiplicazione delle fiere internazionali è una delle tendenze degli ultimi dieci anni: ce n’erano 70 nel 2005, sono 200 oggi; con il primo posto che continua a spettare a quella di Basilea (90 mila appassionati). Gli altri grandi appuntamenti sono Art Basel Miami Beach e The Armory Show a New York.
Al Grand Palais quest’anno nessuna opera ha dato particolare scandalo: ci ha pensato però Paul McCarthy a creare la polemica fuori dalla sede principale, con il gigantesco albero di Natale gonfiabile verde, a forma di giocattolo erotico, piazzato in mezzo a place Vendôme. L’artista californiano è stato aggredito in piazza mentre stava installando la sua opera, e la notte successiva l’albero è stato vandalizzato e sgonfiato. «La Francia sarà sempre dalla parte degli artisti — ha detto in sua difesa il presidente Hollande —, così come io sono a fianco di Paul McCarthy, che è stato infangato nella sua opera, quale che sia il giudizio che si potesse avere su di essa». Alla fine, è possibile che le proteste e il vandalismo contro McCarthy abbiano comunque regalato alla Fiac un’occasione in più per fare parlare di sé.
Da quando, undici anni fa, ne ha preso la direzione, la neozelandese naturalizzata francese Jennifer Flay ha continuato ad allargare il raggio d’azione della Fiac e questo è stato probabilmente l’anno della consacrazione. Strapieno il Grand Palais, la fiera ha avuto per la prima volta un’appendice alla Città della moda, dove 68 gallerie si sono riunite sotto la dizione «Off(icielle)». L’anno prossimo, la Fiac si espanderà ancora con una prima edizione all’estero, a Los Angeles.
La caccia a visitatori e compratori, al Grand Palais, ha fatto chiudere un occhio sulla distinzione tra arte contemporanea e moderna: Picasso (nato nel 1881 e morto nel 1973) era già al centro dell’attenzione per la riapertura del museo a lui dedicato nel Marais, ma le sue opere erano vendute da ben nove gallerie alla Fiac, che ha ospitato pure quadri di Vassily Kandinsky, Gustav Klimt e Edvard Munch (l’Armory Show a New York, per esempio, preferisce invece distinguere nettamente tra moderno e contemporaneo).
Tra i nomi che hanno suscitato maggiore interesse ci sono le conferme di Roni Horn, l’artista newyorchese che ha presentato una serie di cinquanta foto di Isabelle Huppert e un gigantesco blocco di resina blu, pesante sei tonnellate, proposto dalla galleria Hauser & Wirth a 3,5 milioni di dollari; Rebecca Quaytman e le sue serigrafie; il duo scandinavo Elmgreen & Dragset, presenti allo stand della Galerie Perrotin con The Ecstasy and the Agony , una scultura in resina e legno che rappresenta due cuscini appoggiati l’uno all’altro nei quali affondano delle mani; oltre agli inevitabili americani Jean-Michel Basquiat, Jeff Koons e Christopher Wool.
La Fiac è stata anche il teatro dell’eterna rivalità tra i due grandi imprenditori francesi appassionati di arte contemporanea, François Pinault (Kering) e Bernard Arnault (patron di Lvmh). Se Pinault negli anni scorsi si era mosso per primo installando la sua collezione tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia, quest’anno Arnault ha dominato la scena inaugurando la Fondation Louis Vuitton. Pinault si è consolato acquistando alla Fiac 37 pezzi, nello spazio di una sola mattina.
Tra gli emergenti, da segnalare Moussa Sarr, trentenne che vive tra Parigi, Dakar e Londra, e che era rappresentato all’«Off(icielle)» dalla galleria De La Châtre: i suoi autoritratti ironici tra performance video e fotografia, denuncia semiseria di pregiudizi e discriminazioni, sono stati segnalati da molti critici, come i dipinti di Claire Tabouret, giovane artista francese tra astrazione e realismo.
Per Parigi un bilancio molto positivo, anche se il mercato francese dell’arte contemporanea resta al quarto posto del mondo, con solo il 3% delle vendite, molto distanziato dai leader: Cina, Stati Uniti e Regno Unito.
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