DAGOREPORT – AVANTI, MIEI PRODI: CHI SARÀ IL FEDERATORE DEL CENTRO? IL “MORTADELLA” SI STA DANDO UN…
Fiorenzo Radogna per corriere.it
Se c’è una cosa che fa venire i lucciconi agli appassionati (e agli addetti ai lavori) di boxe «Made in Usa» è un pugile bianco di buona qualità, possibilmente un peso medio o un massimo; e di origine italiana.
Sarà per via dei tanti «paisà» che coi cazzotti sul ring hanno davvero scritto pagine indimenticabili del pugilato (dagli italiani Carnera, Loi e Benvenuti; agli immigrati Rocky Marciano, Jack La Motta, Rocky Graziano...) o addirittura per una articolata (e quasi mai realistica) filmografia di genere. Insomma: sul quadrato «l’italiano tira» da sempre.
Così da quando un giovane ex carabiniere di Roma è sbarcato a Las Vegas per danzare sui ring americani, un fremito scuote i taccuini (e i resoconti online) della stampa di settore. Già molto prima che «sia vera gloria»; anche se le premesse sembrano esserci. Lui è Guido Vianello (classe 1994), un peso massimo longilineo di 103 kg su 198 cm; un viso d’angelo incorniciato da una barbetta poco opportuna (dicono che quella «trattenga» i pugni) e presentato sui ring «stars & stripes» con un improbabile elmo «da Colosseo».
Visto che, nemmeno il tempo di combattere (e vincere) i primi match, che a questo ragazzo del quartiere Ardeatino gli americani hanno affibbiato il nome «The Gladiator». Con la fantasia «kistch» di chi ha sempre un film in mente. Poi si sale sul quadrato e i cazzotti sono veri, così come le vittorie (7 incontri, 7 vittorie: con 4 ko e 2 ko tecnici), conquistate per la scuderia Top Rank del mitico Bob Arum. Uno che da decenni fiuta talenti (coi guantoni) e soldi.
Il 10 giugno Vianello ha incasellato il settimo successo all’Mgm Grand di Las Vegas. Al netto di un pubblico sugli spalti assente, al lordo di tutta la scenografia (esclusivamente televisiva) che la boxe del nuovo millennio propone. Vittima l’afro-americano Don Haynesworth, 37 anni. Professionista al terzo ko tecnico subito su 21 incontri (16 vinti, 4 persi, 1 pareggiato). Boxeur dallo stato di forma imbarazzante (133 kg «spalmati» - soprattutto al ventre - su 193 cm di altezza) che al romano ha opposto la sua «timida» caratura per solo 1’58” nel primo round.
Prima di schiantarsi al suolo - dopo il solito concertino di «balletti e tocchetti» - colpito al mento dal gancio destro a scendere di un Vianello quasi neanche sudato. L’esplosione di un talento assoluto?
Non proprio: una tappa (forse troppo) interlocutoria, verso quella gloria pugilistica mondiale che l’italiano, ex olimpico di Rio 2016 (categoria supermassimi), certamente insegue. Nel frattempo dovrà mettere su qualche chilo «giusto», lavorare su un sinistro che appare poco incisivo per i «pro Usa» (quelli «tosti») e mettere in pericolo lineamenti da bravi ragazzo.
Intanto due cose: a Vianello non difettano serietà e abnegazione - «(per questo match, ndr)... Ero già pronto per il combattimento a marzo. Durante il periodo di quarantena sono riuscito ad allenarmi tre volte a settimana grazie al fatto che, il mio allenatore (Kevin Barry. ndr) ha una palestra privata.» - e coraggio.
La prova? Una sconfitta del 2015 a Milano, patita (da dilettante) ad opera di un attuale campione del mondo, il russo Arslanbek Makhumudov - dal 2019, titolo dei pesi massimi WBC - che lo sconfisse nettamente in virtù di una struttura fisica già completa e di una maggiore esperienza (cinque anni in più).
Picchiato, sanguinante, ferito a un orecchio, il 20enne Vianello restò in piedi. Mostrando coraggio e cuore. Premesse importanti, al di là della vittoria su Haynesworth e su quello da spiegare: «Sono stato molto sciolto, rilassato. Non gli ho dato nessun punto di riferimento...»
Nei suoi primi mesi in Usa il guardia destra romano che proviene dal mondo del tennis (il padre gestisce uno dei tanti circoli della capitale e lui stesso era stato avviato a questa disciplina) ha già avuto l’opportunità di fare da sparring partner a gente del calibro di Tyson Fury. In attesa (magari) di guardarlo negli occhi con qualcosa in palio...
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