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Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”
Non chiamateli miracoli. Perché ci vuole più tempo. E loro ce l’hanno. Servono idee e quelle non mancano. È fondamentale un’identità forte, non solo sul campo ma anche nello spogliatoio, e quella se la sono costruita partendo dalle fondamenta. Poi ci vogliono giocatori all’altezza, allenatori preparati e dirigenti uniti. Sembra facile, ma non lo è. Come non è facile vincere in provincia, o almeno provarci.
A Sassuolo (41071 abitanti e 28 punti) e a Empoli (47912 e 20 punti) ci riescono meglio che altrove. Nel fine settimana se ne sono accorte l’Inter e la Roma, ma sono le ultime di una lunga serie che comprende la Juventus, il Milan, la Lazio, la Fiorentina.
Domenica sulla Provinciale giusta si è inserito anche l’insospettabile Cesena: dato per spacciato, ha steso la Lazio e nel girone di ritorno ha fatto 6 punti su 6, riaprendo almeno in teoria la corsa per la salvezza. Il Palermo (30 punti) è una neopromossa, ma è espressione di una grande città. L’Udinese, simbolo da tanti anni della periferia dorata, non fa quasi più notizia. I fenomeni, adesso, sono loro: il Sassuolo di Di Francesco e l’Empoli di Sarri.
La squadra che ha travolto l’Inter aveva in campo 10 giocatori italiani e un nazionale croato (Vrsaljko). Questo salta all’occhio, soprattutto in contrapposizione ai giocatori di 11 nazionalità dei nerazzurri, con un italiano, Ranocchia. Ma non è solo una questione di passaporto, anche se «sulla coesione sociale e il miglioramento delle prestazioni di una squadra» esistono studi scientifici che andrebbero divulgati in Lega calcio (ad esempio: Tziner, Nicola, Rizac 2003, Netanya University College di Israele).
La squadra del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, domenica ha due soli calciatori arrivati quest’anno (il croato e Consigli) e ben 6 protagonisti della promozione in A del giugno 2013, tra cui il capitano Magnanelli, che con la maglia neroverde ha vinto anche la C2 e la C1. Oltre ovviamente al tecnico Di Francesco, che non ha rinunciato al 4-3-3 nemmeno nel tribolato primo anno di serie A. Il Sassuolo del trio terribile Berardi-Zaza-Sansone è una squadra che spende e investe, anche se dalle tv arrivano appena 21 milioni: il monte ingaggi sfiora i 30 milioni e Mapei ha ripianato per 15 milioni l’ultimo bilancio. Ma sono soldi ben spesi.
L’Empoli è un’altra cosa: ha più tradizione, un vivaio storicamente produttivo e una potenza economica decisamente inferiore con 12 milioni di monte ingaggi e i ricavi più bassi del campionato. Ma come — e forse anche più del Sassuolo — la società del presidente Corsi punta tutto sull’identità, umana e tecnica, con un allenatore debuttante in A, che ha preso la squadra in difficoltà in B 4 stagioni fa e ora ha rinnovato fino al 2017: su 23 giocatori in rosa, 8 arrivano dal settore giovanile, mentre l’uomo mercato di gennaio (Saponara) era esploso proprio a Empoli, prima di andare al Milan.
Perché se Di Francesco non ha mai snaturato il suo 4-3-3 nemmeno dopo aver perso 7-0 due volte contro l’Inter, l’ex consulente finanziario Sarri ha anticipato il ritorno di fiamma per il trequartista, proponendo un 4-3-1-2 che a inizio campionato sembrava una mezza follia.
Se però il Sassuolo ha Zaza, che la Juve vuole riprendersi, l’Empoli ha come ragazzo copertina il difensore centrale Rugani, che la Juve si è ripresa ieri (ma per giugno). Valdifiori «il Pirlo di provincia», l’altro centrale Tonelli (già 4 gol), il mediano Croce, l’attaccante Pucciarelli, dimostrano di poter stare anche ad alti livelli e altissimi ritmi, perché l’Empoli corre molto. Con 11 giocatori che vanno tutti nella stessa direzione. Sembra facile, ma non lo è.
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