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URSULA VON DER LEYEN, CALZATO L'ELMETTO, HA PRESO PER LA COLLOTTOLA GIORGIA MELONI - A MARGINE DEL…
Emanuele Gamba per la Repubblica
L’Assenza può essere piombo o piuma, può pesare fino a opprimere oppure levitare alleggerendo: dipende da chi la sente, da chi la vive, da quanto costa, anche da quanto spaventa. «Ma non possiamo sentire la pesantezza di dover vincere un trofeo.
Questa non è altro che una possibilità che i ragazzi si sono meritati di avere» dice leggerissimamente Vincenzo Montella, l’allenatore che potrebbe interrompere i cinque anni di digiuno (e fosse solo il digiuno, il problema) del Milan, ma anche i quindici suoi (in bacheca, ha solamente lo scudetto romanista del 2001), e che non sente ansia, non si lascia irritare dall’atmosfera attorno e dalle attese cariche dei tifosi alla ricerca di un snodo attorno al quale ripartire.
Speravano potesse esserlo la Coppa Italia di sette mesi fa, andò male. Può essere questa coppa nel deserto, adesso. Di sicuro c’è urgenza: il presente è questo ma il futuro chissà, è nascosto tra le ombre cinesi.
La Supercoppa italiana vale quel vale. Però torna utile quando è il momento di aggiustare un bilancio, di realizzare una plusvalenza emotiva, addirittura di salvare un’apparenza e negli anni di magra ci si aggrappa a tutto, nel caso. È bella la serenità con la quale Montella, allenatore che sembra oramai a un passo dalla maturità, gestisce questo grumo di speranze e tensioni, questo fascio nervoso di ottimismo e paura. «L’entusiasmo, la leggerezza, in qualche modo l’incoscienza: sono queste le nostre armi» dice, confessandosi a sua volta leggerissimo: «Ho imparato già quando giocavo che ogni squadra è lo specchio del proprio allenatore. Mi auguro di poterlo dimostrare anche qui. Non so se sia la partita più importante della mia carriera di tecnico, per me è la più importante di oggi. Il passato tendo a dimenticarlo».
In qualche modo ha anche lui una memoria da ragazzo, che ancora non lascia sedimentare i ricordi almeno fino a quando sono poco significativo, come in effetti possono esserlo quelli di questa squadra di spericolata gioventù, di cui Galliani si fa un vanto («Avremo sette giovani italiani in campo») e che in definitiva è la sola possibilità di speranza effettiva che abbiano oggi i tifosi milanisti. «Li abbiamo resi orgogliosi di noi», ammette il capitano Abate. «Dovremo essere spericolati ed incoscienti, anche per regalare a Berlusconi il ventinovesimo trofeo della sua era». Il ventottesimo è vecchio di cinque anni, e lo conquistò Allegri in un derby pechinese: «E nemmeno io avrei immaginato che sarebbe andata così, dopo».
GALLIANI BUFFON MONTOLIVO MAROTTA
Ora il tecnico juventino si chiede se possa fidarsi di tutta questa spensieratezza altrui e dev’essersi risposto di no, se ha dovuto fare alla squadra diversi richiami all’umiltà e mandare all’avversario qualche punzecchiatura: «C’è il rischio che affrontiamo la partita con un po’ di presunzione. E poi il fatto che siano arrivati con un giorno di ritardo ha deresponsabilizzato il Milan, che scaricato tutto il pronostico su di noi». Montella ci ha riso sopra («Ci sarà stato un motivo se avevamo deciso di partire anche noi il 20 e noi il 21»), prima di rendersi conto di quanto pesante possa essere la leggerezza, a vederla da fuori.
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