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Francesco Persili per “Dagospia”
«Le critiche di Ferguson? Sono ridicole». Sono passati quasi dieci anni dall’ultima partita col Manchester United ma l’ex capitano e bandiera dei Red Devils, Roy Keane, mostra di avere ancora i tacchetti avvelenati e nella conferenza di presentazione della sua autobiografia (The second Half) entra in tackle su Sir Alex: «Ha vinto campionati e coppe, guadagnato milioni di sterline e ci sono tribune e statue a lui intitolate. Come può dir male di chi gli ha permesso di avere tutto questo?»
Dagli scazzi con Ferguson alla scazzottata con Schmeichel, dalla rottamazione della class of ’92 del Man Utd alle «condotte vergognose» di Mourinho, Roy Keane, oggi vice ct dell’Eire e allenatore in seconda dell’Aston Villa, non tira indietro la penna in questo libro, scritto a quattro mani col romanziere Roddy Doyle, e destinato a diventare in Inghilterra il caso editoriale dell’autunno.
Anche grazie all’assist involontario del giornalista del Guardian, Daniel Taylor, che ha iniziato ad anticipare su Twitter le rivelazioni più scottanti.
Un mischione di giudizi a gamba tesa e sentimenti rancidi, Keane mostra il suo lato più oscuro e ritorna sull’entrata da kung-fu che costò la carriera a Haaland in un derby contro il City del 2001. Una vendetta per quello che era successo quattro anni prima a Elland Road quando si era spaccato il ginocchio e il norvegese lo aveva accusato di simulare?
Keane esclude la premeditazione e punta il dito contro l’ex Citizen: «Haaland raccontò di essersi ritirato per colpa di quell’intervento ma disse una bugia: quattro giorni dopo giocò con la Norvegia». L’ex City ha replicato: «Le scuse? Non me l’aspetto da uno come lui, non è Nelson Mandela».E poi ha paragonato l’irlandese, per via della barba, a Saddam Hussein. Sarà per questo che Keane ha deciso di tagliarla?
Nessun rimpianto da parte dell’ex bandiera dei Red Devils, che pure ha avuto l’opportunità di trasferirsi alla Juve e al Bayern Monaco. Anzi, uno c’è. «Ho sbagliato a chiedere scusa a Ferguson». Roy Keane ha lasciato il Manchester United nel 2005 dopo una lite in allenamento con Sir Alex e il suo vice Carlos Queiroz. Durante la preparazione pre-campionato in Portogallo, Keane aveva dato segni di insofferenza affrontando l’assistente del manager scozzese a muso duro: «Hai lasciato questo club dopo 12 mesi, qualche anno fa, per andare al Real Madrid. Non darmi lezioni di lealtà».
La storia mai chiarita dell’intervista alla tv del Manchester in cui attaccò i suoi compagni di squadra fece precipitare le cose. Gli strali di Keane colpirono anche Ferguson: «Tu sei il capo e dovresti fare di più». Rottura totale. A Ferguson non restò che stracciare il contratto. Ma la ricostruzione degli ultimi giorni dell’Insostituibile a Manchester è disputata e l’ex centrocampista irlandese ricorda, con malizia, che Sir Alex ha sempre avuto «molti amici» nel mondo dei media: «Molti hanno paura di lui ma io non sono tra quelli»…
Sempre in battaglia, l’irlandese. There’s only one Keano, cantavano i tifosi del Man Utd. Ma anche loro furono sferzati dalle sue parole: «Vengono allo stadio solo per mangiare panini coi gamberetti». Tosto, aggressivo, feroce. In campo e fuori. Come ricorda Sir Alex «la parte più dura del corpo di Keane è la lingua. Potrebbe mettere in difficoltà anche l’uomo più sicuro di sé con quella lingua». Tanto che non si fece problemi nel 2002 a ricoprire di insulti il ct dell’Irlanda Mick McCarthy, e una volta approdato al Celtic dichiarò con assoluta nonchalance di aver cancellato il Man Utd dalla propria vita.
Con la stessa grazia oggi demolisce il “marchio” della classe of ‘92 e dei vari Giggs, Neville, Scholes, Beckham dice: «La loro importanza è stata sopravvalutata per il dominio dei Red Devils». Racconta di aver convinto Fergie ad assegnare la maglia numero 7, quella di Best e Cantona, a Becks. Salva Cristiano Ronaldo (e Guardiola) e non si fa problemi a dettagliare di risse, serate alcoliche e di un faccia a faccia con Peter Schmeichel: «Avevamo bevuto qualcosa di troppo e lo scontro degenerò. Il giorno dopo il portiere si presentò con un occhio nero davanti ai giornalisti»
Uno, nessuno, centomila Keane. C’è il ragazzo che deve tutto a Brian Clough e il capitano più vincente del Manchester Utd che ha parole d’elogio solo per i suoi ex compagni Bruce e Pallister, non proprio Maldini e Baresi. C’è il manager cinico che davanti al collasso di un suo giocatore tira un sospiro di sollievo perché la notizia avrebbe distolto l’attenzione da una brutta sconfitta e il condottiero dal cuore grande che resta accanto fino all’ultimo giorno ad un suo ex giocatore Gary Ablett colpito dal linfoma non Hodgkin. C’è l’uomo che rifiuta il Real nel 2005 per paura e l’assistent manager dell’Aston Villa che non dà la mano a Mourinho prima del fischio finale di una partita: «è stato irrispettoso, se ci riprova è da prendere a pugni»
There’s only one Keano. Anche oggi che si mostra più vulnerabile e ammette la crisi di mezza età, l’ex centrocampista del Man Utd non resiste al richiamo della battaglia, nonostante sia solo letteraria, e si butta nella mischia. Arsenico e vecchi sgambetti, schizzi di fango e cicatrici che si riaprono, tackle ruvidi e passioni forti. Un messaggio che arriva diritto al cuore di chi allo stadio ci va per il potente spettacolo del football e non per quei fottutissimi panini coi gamberetti. «Perdonare Ferguson? Vedremo. Il calcio è un piccolo mondo, ci si ritrova sempre prima o poi».
God save the Keane.
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